Musica. Baglioni, la mia storia verso un mondo nuovo
Claudio Baglioni, classe 1951, al suo 16° album registrato in studio
La storia di Claudio Baglioni, l’ex ragazzo di 51 Montesacro dove «tutto cominciava», è un po’ anche la nostra, e abbraccia – quando ancora si poteva abbracciare – , cinquant’anni di vita, condivisa da tanti. E La vita è adesso, nonostante tutto. Ma dopo l’ouverture di In questa storia che è la mia, 16° album registrato in studio in carriera, sette anni dopo l’ultimo Convoi, si capisce, come canta il divo-antidivo Claudio, che La vita è altrove e qui: titolo del primo dei 14 brani inframmezzati da quattro interludi piano e voce e un finale.
La sua, la nostra storia è un tuffo dentro il sole al tramonto di un Sabato pomeriggio in cui «senza te morirei» e se ci ci siamo salvati, è perché in Uno e due (altro meraviglioso e suadente inedito) ci ritroviamo ad essere «come fiume e onda, collina e bruma scoglio e onda», cercando di capire Quello che sarà di noi (brano intenso e in stile profondamente baglioniano). Come uno scrittore classico, il cantautore romano meriterebbe il Meridiano del maggior poeta d’amore del cantar leggero. «Le canzoni d’amore sono in fondo serenate che sussurro da sempre sotto dei balconi ideali.
Lo faccio per suscitare emozioni e creare delle suggestioni, specie chi non si è ancora arreso e continua a credere a questa folle pazzia che è l’amore». Sentimento che dai tempi di Questo piccolo grande amore (canzone italiana del secolo) aggiorna e raccoglie nel suo personale album di fotografie che completa qui, in questo extraconcept. «Ma preferisco definirla un’operina moderna, che ha per padre il mio precedente Oltre (disco cofanetto del 1990) e come madre Strada facendo (1981). È un disco fatto a mano, come si faceva una volta, senza gabbie temporali come adesso che il tempo sembra lo tagliamo tutti a fette, come il prosciutto, e alla fine non ci resta in mano che l’osso ».
A chi chiede brevità per via della concentrazione che si è abbassata, Baglioni risponde con «80 minuti di musica e parole. Abbiamo suonato con lo stesso spirito di quando i dischi si incidevano come un epitaffio su una pietra, con la speranza poi di incidere un po’ anche nelle vite degli altri, in ascolto». Incide profondamente al cuore In questa storia che è la mia, in cui l’amore viene immortalato usando «il Grandangolo per fissare in un unico scatto questi cinquant’anni in cui musica e vita si sono intrecciate e con un Teleobiettivo per rintracciare quelle emozioni, sogni, persone, luoghi e profumi che ho incontrato nel mondo». In un mondo nuovo, canta ora Baglioni, e in quel testo 'manifesto cattolico' sembra di scollinare indietro nel tempo, tra le verdi colline umbre (origine baglionane: papà di Ficulle, mamma di Allerona, borghi incantati dell’orvietano) o la sua Piana dei cavalli bradia Castelluccio di Norcia, dove Franco Zeffirelli girò Fratello Sole, sorella Luna, brano omonimo che nel 1972 fu la prima hit dell’allora 21enne cantautore.
«Un mondo senza aridità di abbracci senza ipocrisia, di gesti senza falsità, senza più volgarità né pazzia... Senza più disparità. Giorno per giorno pane e il vino come a messa», recita il testo di In un mondo nuovo che sembra davvero la prosecuzione di Fratello Sole sorella Luna.
C’è effettivamente un legame, anche spirituale, tra i due brani, ma mentre Fratello Sole, sorella Luna è una canzone che 'propone', In un mondo nuovoinvece si tratta di un testo che 'desidera'. In entrambi i casi c’è comunque quella dose di ingenuità che invita a sentire e a cercare emozioni forti e profonde come quelle che per esempio ho provato riproponendo in piena pandemia quel videoclip di Fratello Sole, sorella Luna, girato nel marzo di quattro anni fa in una piazza San Pietro deserta che preconizzava l’ultima Santa Messa di Pasqua, senza gente, celebrata da papa Francesco... In fondo desiderare un mondo nuovo, quindi ideale, non è un’utopia. Resta invece da capire quale distanza c’è tra le difficoltà di questo tempo e la possibilità di realizzare quel mondo di «abbracci senza ipocrisia».
«Un mondo senza inciviltà, di facce senza idolatria, di spalle senza impunità…», continua la sua canzone. Ma di chi è la colpa di una simile società attuale?
Molte delle responsabilità dipendono sempre dalle generazioni precedenti che hanno consegnato questo mondo nelle mani delle nuove leve. Io nel mio percorso, al di là degli studi fatti in architettura, mi sono sempre sentito un po’ un urbanista. Questo deriva anche dalle mie radici di periferia e quindi dalla necessità di riscattare certi posti marginali per renderli esteticamente più belli e centrali. Penso che una nuova coscienza per costruire un nuovo mondo ci veda tutti impegnati nel 'restaurare' quello che di buono nel mondo già c’è, e nel creare quelle cose nuove che serviranno anche alle generazioni future... Io non conosco le medicine per ripartire, ma forse una ricetta può essere quella di curarsi dal personalismo, dal narcisismo disperato e provare a tornare a fare dei sogni collettivi, che era un po’ quel «dolce sentire » comune, a cui ci invitava ottocento anni fa 'l’eretico' san Francesco.
La sua generazione ha avuto anche il dono del sacrificio, dello spirito della gavetta e del successo sudato e guadagnato.
Lo racconto in questo disco, e lo canto in apertura: «Ho vissuto per lasciare un segno ». Ho cominciato ragazzino non perché avessi discendenze, ma per un caso, e ho proseguito fin qui, con estrema perseveranza, consapevole che tutte le cose che facciamo corrono il rischio di essere respinte. Per pubblicare il mio primo album ci sono voluti più di tre anni, oggi è più facile, non serve neanche un editore, le occasioni che offrono la Rete e i talent- show sono immediate, ma poi... essendosi azzerato il responso e inaridito il peso critico, il rischio è che quello spazio immenso, ma virtuale, di colpo si riduca e scompaia del tutto nel mondo reale della musica leggera.
Il mondo reale di ieri era quello di Strada facendoche aveva avuto 800mila copie solo di prenotato. La vita adessocon 4milioni di copie è ancora l’album più venduto in Italia.
Sono numeri che oggi fanno tremare i polsi, irripetibili. Ma al di là degli scenari deformati radicalmente, questo resta un mestiere magnifico che offre in dono la possibilità di raccontare la propria esistenza. La musica assolve ancora alla funzione di accompagnamento della nostra vita, e io vorrei continuare a farlo avvertendo sempre quelle emozioni essenziali, e nel rispetto delle parole che hanno percorso chilometri per arrivare fino a noi e dobbiamo coglierne il significato e la loro fisicità per trasmetterle e comunicarle al meglio. Anche certi suoni sono fisici e questa 'fonetica emotiva' la vivo e mi commuove fino alle lacrime, specie quando prende una forma sinfonica e ascolto la mia musica suonata dall’orchestra.
I suoi cento musicisti, per la prima volta di un cantautore pop in scena 12 serate di fila sul palco delle Terme di Caracalla, erano già pronti a suonare lo scorso giugno.
E io su quel palco così suggestivo spero di salirci la prossima estate con il concerto delle Dodici note. Non vedo l’ora anche di riaccendere la nostra macchina organizzativa e ridare ossigeno a tutte quelle persone che lavorano nella nostra azienda e nel mondo dello spettacolo, e che in questo momento, nonostante le due raccolte fondi promosse con colleghi artisti, stanno vivendo un momento di grande precarietà. Nel frattempo, visto che sono confermate anche le serate all’Arena di Verona e al Teatro Greco di Siracusa, dobbiamo inventarci qualcosa di nuovo. I concerti in streaming non saranno il massimo, ma se servono a far lavorare chi sta davanti e dietro le quinte io sono sempre a disposizione.
Sarebbe disposto anche a un altro tour come Capitani Coraggiosi?
All’orizzonte non c’è un progetto del genere. Quello con Gianni Morandi è stato un scambio di canzoni e di frammenti delle nostre storie davvero unico e irripetibile. Dopo la canzone Gli anni più belli – brano inserito nell’album e nel film omonimo di Gabriele Muccino – mi piacerebbe comporre per il cinema al quale dedicai un intero album, Io sono qui, o magari ridare corpo all’idea di di musical, come era in origine il plot di Questo piccolo grande amore... Con Pierfrancesco Favino invece, è da un po’ che ragioniamo su qualcosa che possa unire la musica e il suo universo recitativo. Chissà...
Favino rimanda alla prima delle sue conduzioni di Sanremo. Possibile un Sanremo tris con lei “dittatore artistico” (cito Claudio Baglioni)?
Impossibile – sorride salutandoci –. Perché al primo ero indeciso, al secondo indecisissimo. Andare come ospite? Non si può uscire papi e rientrare cardinali. Sanremo è un unicum, ma è anche un lusso, e il lusso una volta indossato devi anche saperlo riporre nell’armadio della tua storia, e poi richiuderlo.