Anniversario. Bachelet: «Al mondo serve l'Europa unita»
Roma, 14 febbraio 1980, il feretro del prof. Vittorio Bachelet avvolto nel tricolore esce dalla chiesa di San Roberto Bellarmino dove si sono svolte le esequie
La «strada europea» come unica percorribile per ridare slancio al vecchio continente in piena guerra fredda. Vittorio Bachelet nel numero 6 del periodico "Coscienza" del 20 marzo 1953 riflette su quanto emerso nella riunione del 25 e 26 febbraio della Conferenza dei ministri degli esteri dei sei Paesi membri della Comunità del carbone e dell’acciaio, nonché firmatari del trattato per la Comunità europea di difesa. Uno scritto di grande attualità che con chiarezza mette in risalto «le difficoltà naturali e inevitabili» del processo di unificazione europea. «Le difficoltà essenziali sono venute, com’è noto, dalla Francia - scrive Bachelet -. Un non sopito nazionalismo; i reali problemi derivanti dalla particolare posizione della Francia a capo della Union française attualmente impegnata nella ormai lunga guerra indocinese; soprattutto il timore del riarmo tedesco, e, più ancora, di una possibile egemonia tedesca nella costituenda comunità europea di difesa, hanno fatto fare dei notevoli passi indietro all’opinione francese nei confronti dell’unificazione europea». Un clima, quello inquadrato dal futuro vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, che dà il senso dell’aria che si respirava nelle cancellerie delle nazioni impegnate faticosamente nella ricostruzione di un’Europa post-bellica lacerata dal secondo conflitto mondiale. Ogni singolo Stato doveva fare i conti con non poche questioni, Francia compresa.
Erano gli anni di René Mayer, presidente del Consiglio della Francia dall’8 gennaio al 28 giugno 1953, periodo in cui Charles De Gaulle si era ritirato dalla scena politica per ritornarvi nel 1958 come primo ministro. Il XIX governo francese dopo la liberazione era caratterizzato dal frazionarsi di molteplici gruppi che rendevano variegata la maggioranza parlamentare. «Schuman, convinto della necessità e della inevitabilità dell’unificazione europea ne aveva coraggiosamente presa l’iniziativa e la guida - prosegue Bachelet -. E dalla Francia erano venute la proposta della Comunità carbone- acciaio e la proposta dell’esercito integrato europeo ». Un nodo, quello dei cugini d’oltralpe, determinante. Infatti per Bachelet «la sostituzione di Schuman con Bidault era l’indice dell’incertezza francese». In Germania, invece, il cancelliere Konrad Adenauer, anch’egli insieme a Schuman e Alcide De Gasperi, padre fondatore dell’Europa, era additato dall’opposizione socialdemocratica «di aver già accusato una posizione di inferiorità rispetto alla Francia nell’esercito integrato» aggiunge Bachelet mentre «a Roma, le posizioni sembravano essersi smussate, e ciò per due ragioni: la prima che ai sei ministri si è presentata realisticamente come unica alternativa all’esercito europeo non tanto la costituzione di un esercito nazionale tedesco, quanto la difesa così detta periferica dell’Europa (abbandono dell’Europa salvo alcune teste di ponte da cui ripartire per la liberazione del vecchio continente); l’altra è che Bidault ha compreso di poter sempre contare sull’Italia come amica e mediatrice nei confronti della Germania all’interno della comunità». La lettura di Bachelet, sia sul fronte economico che sulla prospettiva di un esercito e di una difesa europea, è tema di attualità.
Non a caso l’articolo di Bachelet La facciamo l’Europa? resta originale e unico, da rileggere nel volume Scritti civilicurato da Matteo Truffelli, attuale presidente di Azione cattolica, per l’editrice Ave (2005). Quello preso in esame dal giurista, docente universitario e politico italiano democristiano assassinato il 12 febbraio 1980 dalle Br alla Sapienza, è un periodo storico particolare non solo per i Paesi come la Francia, l’Italia e la Germania, ma anche per l’Unione Sovietica che proprio il 5 marzo del 1953 aveva registrato nella dacia di Kuntsevo la morte di Josif Stalin, tra i principali attori dei summit di Teheran del 1943, di Yalta e Potsdam del 1945. Le tre conferenze in cui Usa, Gran Bretagna e Urss, le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale, decisero il destino dell’Europa. «La morte di Stalin non mancherà di avere influenza sul processo di unificazione dell’Europa - scrive Bachelet -. Tale processo è un fatto positivo, non una unificazione solo contro qualche cosa, ma per qualche cosa; una unificazione in ogni caso richiesta dall’attuale sviluppo civile, economico, tecnico, culturale del mondo; ma è certo che la minaccia di aggressione sovietica è stato uno dei fattori che l’ha accelerato, indicando come urgente la necessità di unirsi per difendersi». Affermazioni che si inseriscono in un contesto politico-internazionale caratterizzato dalla 'cortina di ferro', termine peraltro riattualizzato in quegli anni da Winston Churchill, tra i protagonisti della Conferenza di Yalta insieme allo stesso Stalin e al presidente Usa Franklin Delano Roosvelt. Sul capo del governo italiano Bachelet usò parole di sostegno e fiducia: «Qualcuno ha detto che De Gasperi ha lavorato come un mulo per superare e conciliare le diverse difficoltà. L’Europa non è facile a farsi e non manca chi già accusa di lentezza il processo di unificazione europea; ma l’unificazione democratica sulla base della discussione e della collaborazione, non può essere che lenta: solo così si riesce a individuare quel bene comune che è veramente bene di tutti». Vittorio Bachelet, presidente di Ac dal 1964 al 1973, continuerà in diversi altri scritti e interventi a occuparsi di Europa e degli aspetti positivi e negativi del processo di unificazione mettendo sempre in evidenza le potenzialità economiche, ma soprattutto politiche e culturali di un continente dalle profonde radici cristiane e culla delle moderne democrazie occidentali.