Forse la chiave per entrare nel cuore delle pagine di
Ave Mary. E la Chiesa inventò la donna si trova in una frase all’inizio del saggio, fresco di stampa per Einaudi, che sabato 14 maggio sarà presentato in anteprima nazionale dall’autrice e Gad Lerner al Salone internazionale del libro di Torino: «È un libro di esperienza, non di sentenza». L’idea di scrivere quello che Michela Murgia – premio Campiello 2010 per il romanzo
Accabadora – definisce «un pamphlet socio-teologico» nasce durante un convegno promosso ad Austis, alle pendici della Barbagia, l’8 marzo del 2009: tra i relatori con due teologhe, ascolta le voci delle partecipanti all’incontro, centrato su «Donne e Chiesa: un risarcimento possibile?». A dare il "la" al dibattito, una signora che evidenzia come la sua collaborazione in parrocchia venga tenuta in buon conto soprattutto per «le pulizie» dei locali. Su questo input si innestano il vissuto e gli studi teologici di Murgia, che non valuta l’ambiente ecclesiale dall’esterno: ha alle spalle anni di impegno nell’Azione cattolica come animatrice degli adolescenti, studi all’Istituto di scienze religiose di Oristano e un periodo lavorativo come insegnante di religione; il Coordinamento teologhe italiane l’ha riconosciuta socia
honoris causa. Con sguardo critico ma non impietosamente giudicante, evidenzia deficit e ritardi nella valorizzazione femminile in "casa cattolica", raccontando di aver «patito spesso rappresentazioni limitate e fuorvianti di me come donna, il più delle volte contrabbandate attraverso altrettante povere interpretazioni della complessa figura di Maria di Nazareth. Ho sofferto quando le ho riconosciute nel magistero dei papi, ma ancora di più quando le ho viste passare sotto traccia nella pastorale comune, nella preghiera popolare, nell’arte visiva e nella musica religiosa». Un «imprinting culturale» vivo e vegeto che vorrebbe mogli, madri o consacrate «belle e silenti» anche nella Chiesa, modellate sull’archetipo di ogni credente: Maria – spiega Murgia – è stata cristallizzata in un’eterna giovinezza. Un modello «divinizzato a cui nessuna può accostarsi con qualche speranza di identificazione», collocando così la madre di Gesù in un’aura quasi disincarnata. Sta qui l’equivoco di fondo, per l’autrice: il sì di Maria viene confuso con una docilità passiva e «funzionale ai piani altrui», mentre alcuni biblisti riferiscono che il racconto dell’Annunciazione («il Big Bang del cristianesimo») è tutt’altro che un esempio di supina accettazione della proposta divina: l’adolescente di Galilea si mostra «libera e coraggiosa», «soggetto protagonista della scelta» e «la massima complice della salvezza del mondo», pur rischiando di essere lapidata perché misteriosamente gravida prima del matrimonio. Ancora, la scrittrice nota acutamente come nel relazionarsi di Cristo con le donne – si pensi anche alla decisione di apparire risorto prima a loro – siano inscritte tracce del rapporto con sua madre, capace di sfidare i pregiudizi. Eppure, insiste, continua ad essere veicolata l’idea di figure defilate, «con il pregio impagabile di non chiedere alla Chiesa spazi diversi da quelli del servizio», anche se di fatto protagoniste nell’animazione liturgica, nella catechesi e nel volontariato: «Praticamente tutta l’attività pastorale ordinaria si regge sul servizio gratuito e silenzioso del mondo femminile credente». Però Murgia sostiene ingenerosamente che Giovanni Paolo II abbia rimarcato questa concezione "amputata" nei suoi documenti. «L’originalità del pensiero di questo Papa verso le donne è una linea maestra dritta come una spada», scrisse invece – dopo averlo incontrato personalmente e commentato in un libro la
Mulieris dignitatem – Maria Antonietta Macciocchi, intellettuale femminista scomparsa nel 2007. Colpisce inoltre che nel volume non siano citate le "giganti" che si sono fatte "strada" nel mondo ecclesiale, confrontandosi a viso aperto pure con le gerarchie, per la loro testimonianza e i loro scritti a dir poco profetici: dalle protagoniste della storia della Chiesa come Chiara d’Assisi alle mistiche (laiche e religiose) come Ildegarda di Bingen, dalle donne proclamate "dottore della Chiesa" come Caterina da Siena, fino alle fondatrici di associazioni e movimenti, come Chiara Lubich, che hanno aperto più di qualche breccia.