Letteratura. Il Caino di Andrea Camilleri riflette sul male e sull'attesa di eternità
Lo scrittore Andrea Camilleri (Ansa)
Più passa il tempo, più si rafforza l’impressione che nel Novecento fosse difficile trovare un ateo integrale. Anche chi non credeva in Dio o addirittura lo contestava lo faceva come in presenza di Dio stesso, rammaricandosi perfino – in casi estremi – di non avere avuto in dono la benedizione della fede. L’ateo restava ateo, intendiamoci, ma la sua era in prima istanza una posizione personale, che non escludeva la legittimità del credente.
Per venire al nostro Paese, non tutti gli atei dichiarati erano cristiani imperfetti, eppure, in un modo o nell’altro, lo spiraglio restava aperto, di volta in volta sotto forma di speranza oppure di dubbio. Prendiamo Andrea Camilleri, autore prettamente novecentesco a dispetto della tardiva fioritura nel XXI secolo. In un’intervista rilasciata esattamente un anno fa ad Avvenire lo scrittore siciliano aveva dichiarato: «Sono stato e continuo a essere un lettore attentissimo dei Vangeli, che considero tra i libri più belli che siano mai stati scritti. E concordo con la celebre affermazione di Benedetto Croce: non possiamo non dirci cristiani, almeno per quanto riguarda la condivisione di alcuni valori fondamentali. Che poi si sia credenti o non credenti è un altro discorso. Ma quei valori sono assoluti, irrinunciabili. Li riassumerei in un’unica parola: verità. “Io sono la via, la verità e la vita”, afferma Gesù di se stesso. Ma avrebbe anche potuto limitarsi alla verità, che comprende ogni altro valore».
Cercatore di verità, del resto, era l’indovino Tiresia, al quale Camilleri aveva dato voce e corpo in un monologo rappresentato nel giugno del 2018 al Teatro Greco di Siracusa. Era evidente che quella Conversazione su Tiresia (questo il titolo del testo, edito in volume da Sellerio) costituiva per Camilleri un esercizio di preparazione all’ignoto, che per lui prendeva il nome di “eternità”. «A 93 anni è un pensiero inevitabile – aveva ammesso nella stessa intervista ad Avvenire –. Ci si accorge che qualcosa si sta avvicinando e non si sa bene che cosa sia. A me piace chiamarla così, “eternità”».
Dopo il confronto con il pagano Tiresia, che passa di trasformazione in trasformazione pur di sperimentare la realtà in tutta la sua ampiezza, Camilleri aveva scelto di vedersela con il primo omicida della storia, Caino. Dai miti greci ci si spostava tra le pagine della Bibbia, ma la sostanza del monologo che l’ideatore del commissario Montalbano si preparava a portare in scena alle Terme di Caracalla restava pressoché immutata: sempre di eternità si sarebbe parlato, e di nuovo, a maggior ragione, dell’elemento di mistero che rende irripetibile l’esistenza di ogni uomo.
L’evento era in calendario per il 15 luglio, ma l’eternità ha giocato d’anticipo. Ricoverato da un mese in condizioni critiche, Andrea Camilleri è morto il 17 luglio, lasciando una serie di inediti dai quali ora gli eredi hanno deciso di trascegliere proprio questa Autodifesa di Caino che la stessa Sellerio manda oggi in libreria (pagine 96, euro 8,00).
Per lo scrittore, a lungo regista teatrale e televisivo, la drammaturgia rappresentava un ritorno alle origini e, insieme, l’occasione per affrontare in maniera più diretta alcuni temi che, nel resto della sua sterminata produzione, erano stati affrontati in maniera meno sistematica, non senza qualche punta polemica, come accadeva in Le pecore e il pastore, romanzo del 2007 nel quale un controverso episodio della storia siciliana forniva lo spunto per un’indagine sulle presunte derive dell’esaltazione religiosa.
Verso Caino l’atteggiamento di Camilleri è differente. Non mancano le soluzioni connotate a una certa irriverenza (Adamo, per esempio, sarebbe uno dei dodici «nanetti» creati per animare l’Eden e presto spediti in esilio da Dio, con l’esclusione appunto del «cretoso » e «terragno » patriarca), ma in generale risulta fortissimo il sentimento di immedesimazione.
La parlata di Caino accoglie a più riprese le parole-chiave del “vigatese”, l’iperbolica lingua siciliana di cui Camilleri si è servito nei suoi libri più noti (“taliare” per “guardare”, “cataminarsi” per “agitarsi” eccetera) e a un certo punto il personaggio dichiara apertamente di essere un «Andrea Camilleri» ormai «troppo vecchio» per riferire tutto a quel pubblico che, chissà perché, gli ricorda la corte di un tribunale.
Con secoli di ritardo – anzi, con millenni – Caino prende finalmente la parola per discolparsi, sostiene di essere nato dal fugace amore di Eva con il tentatore, così come Abele sarebbe stato generato dall’incontro con un angelo. «Vedete, non è semplice come può apparire – avverte Caino – e cioè che io ero condannato al Male perché figlio di un diavolo e Abele destinato al Bene perché figlio di un arcangelo. No, il male è insito in noi nell’attimo stesso in cui veniamo al mondo». E la colpa dove sta, allora? È Dio stesso a rivelarlo, dopo che si è consumata la colluttazione fatale tra i fratelli e Abele, che pure ha sferrato il primo colpo, è rimasto ucciso dalla pietra impugnata da Caino. Una scelta morale, ecco che cosa separa il carnefice dalla vittima. «Questo finché vivrà il mondo sarà l’impegno dell’uomo: fare le giuste scelte», proclama l’Onnipotente, mentre Caino traduce il concetto in un fraseggio stranamente filosofico: «Io fui semplicemente colui che mise per primo in atto il male – dice –. Che compì l’azione del male. Tramutando ciò che era in potenza, in atto».
Alternando citazioni implicite ed esplicite, Camilleri dimostra di conoscere bene il panorama delle rivisitazioni letterarie dell’episodio, dagli apocrifi veterotestamentari a Borges, dalle dispute rabbiniche ai poemi drammatici di Lord Byron e Mariangela Gualtieri, con tappe obbligate nella bibliografia di due premi Nobel, Dario Fo e José Saramago. Nonostante tutto, però, questo rimane il Caino di Camilleri, proprio perché Camilleri stesso si identifica in Caino. «Ho finito davvero – recitano le ultime righe del monologo – Non voglio che pronunciate il vostro verdetto ora. Riflettete su quanto vi ho raccontato questa sera e poi decidete da voi. Secondo coscienza».
Poco prima il fratricida ha riassunto così il suo resoconto: «Quello che in sostanza volevo dirvi è che non esiste la predestinazione e che Dio ha ragione, possiamo scegliere». Nessuna sentenza, d’accordo, ma è curioso che, in questo scritto dall’intonazione testamentaria, Camilleri lasci trapelare l’ipotesi che su Dio, in fin dei conti, si possa ancora fare affidamento. Il resto è una questione che riguarda ciascuno di noi e l’eternità.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Il testo prosegue la ricerca avviata nel 2018 con “Conversazione su Tiresia”: al mito greco subentra qui una lettura della Bibbia a tratti provocatoria ma sempre sostenuta da una forte interrogazione di natura morale Fino all’immedesimazione, non del tutto inattesa, tra autore e personaggio Lo scrittore Andrea Camilleri (1925-2019). A sinistra, “Il rimorso di Caino” in un’opera dello scultore Vincenzo Luccardi datata 1861