C’è un "cuore di tenebra" alle radici delle ideologie che portarono allo sterminio nazista, una vicenda coloniale di conradiana memoria che ha insanguinato l’Africa tra la fine del XIX e gli albori del XX secolo e ha spianato la strada all’Olocausto sia sul piano teorico che su quello pratico. È quanto sostengono David Olusoga e Casper Erichsen, autori di
Kaiser’s Holocaust, il libro appena uscito in Gran Bretagna per Faber&Faber che ricostruisce in modo dettagliato e aggiornato la storia e le implicazioni del genocidio dei popoli indigeni dell’attuale Namibia - gli Herero e i Nama - da parte della Germania guglielmina. Il materiale inedito reperito negli archivi nazionali namibiani consente ai due storici di confermare che molte delle idee criminali di Hitler affondano le proprie radici nel colonialismo africano del Secondo Reich. E che analogamente, esistono diversi punti in comune tra le tecniche di genocidio usate in Africa dagli eserciti del Kaiser e i ben più noti metodi impiegati dai nazisti. Tra il 1904 e il 1909 le truppe di Guglielmo II spazzarono via decine di migliaia di indigeni delle tribù Herero e Nama per offrire nuovo "spazio vitale" alla Germania. Uno sterminio di massa che fu favorito e giustificato sul piano morale dalle teorie del razzismo scientifico e dalle letture più distorte del darwinismo sociale di fine ’800. Fu proprio così, sostengono i due storici, che i colonizzatori tedeschi riuscirono a mettere da parte la morale cristiano-giudaica della compassione per i più deboli e a considerare le tribù africane come esseri inferiori e subumani. «I fucili e la forca sono armi accettabili perché distruggendo razze inferiori si offriranno nuove terre e nuovi beni alle razze più forti», sentenziava l’accademico Friedrich Ratzel, uno dei primi a parlare del Lebensraum, lo spazio vitale, e ad auspicare che i tedeschi l’ampliassero con qualsiasi mezzo. Anche il generale Lothar von Trotha, comandante delle truppe tedesche in Africa, definì "non umani" i membri delle tribù Herero e Nama, prima di firmare l’ordine di sterminio che li condannò alla deportazione nel 1904. Parole, quelle di Ratzel, von Trotha e di altri citati nel volume, che ricordano da vicino il colonnello Kurtz di Conrad quando ordinava di «sterminare tutti i bruti» e che dimostrano come la supremazia della razza ariana proclamata dal delirio nazista sia stata diretta conseguenza della politica razziale adottata in Africa dalla Germania guglielmina. Anche le modalità d’esecuzione appaiono assai simili: imitando i britannici, che per primi ne avevano fatto uso nelle guerre contro i boeri, Berlino realizzò in Africa all’inizio del ’900 i primi di campi di concentramento. Il più famigerato fu quello dell’isola di Shark, l’«Auschwitz africana» che registrò un tasso di mortalità del 70% e al cui interno l’eugenista Eugen Fischer condusse esperimenti medici su cavie umane che furono d’esempio per un allievo molto promettente: Josef Mengele. È poi curioso apprendere che ad orchestrare personalmente quella barbarie fu il padre di Hermann Göring, primo commissario del Kaiser in Africa e poi ambasciatore ad Haiti, mentre le camicie nere usate dai nazisti avevano fatto parte in precedenza della dotazione dell’esercito in Namibia.Non è la prima volta che si parla di un collegamento diretto tra il nazismo e il colonialismo europeo di fine ’800. La tesi era stata formulata già nel secondo dopoguerra dallo storico afro-americano William Edward Du Bois - secondo il quale l’Olocausto fu l’apice di una lunga tradizione di stermini di massa perpetrati dalle potenze imperiali europee - ed è stata ribadita in anni più recenti anche da studiosi europei come Hannah Arendt. Tuttavia il libro di Olusoga ed Erichsen ha il grande merito di ricostruire nel dettaglio una storia dimenticata e sepolta per decenni sotto una coltre di mito. A cercare di rimuoverla per sempre furono prima le autorità coloniali tedesche, che distrussero molte prove dei crimini perpetrati nel continente nero, poi il governo sudafricano, che dopo la seconda guerra mondiale subentrò nel controllo di quei territori fino alla nascita della moderna Namibia nel 1990. Il genocidio degli Herero era stato descritto dettagliatamente nel famoso
Blue Book compilato dalle potenze alleate subito dopo la prima guerra mondiale per negare il ritorno delle colonie africane alla Germania alla conferenza di pace di Versailles. Ma negli anni ’20 tutte le copie del libretto furono poi ritirate dalle librerie e distrutte in nome della solidarietà tra le potenze imperiali europee.