Il dibattito. Augusto. Dittatore o mecenate?
Svetonio scrisse che Ottaviano Augusto (63 a.C. - 14 d.C) a proposito di Roma si vantò giustamente: «Ho trovato una città di mattoni. Lascio una città di marmo». Ma il primo imperatore romano si sforzò per tutta la vita di gettare anche solide fondamenta ideali, lasciando un segno indelebile nella storia della civiltà occidentale. Eppure a duemila anni dalla sua morte, avvenuta a Nola il 19 agosto del 14 d.C., la sua figura continua a far discutere. Abile e spregiudicato demagogo o principe illuminato? Gli storici si dividono.Franco Cardini, professore emerito di storia alla Scuola Normale Superiore di Pisa, ammette: «Confesso di non avere grandi simpatie per Augusto lo trovo un personaggio ambiguo. Ma sono contento che si ricordi il suo bimillenario, perché la storia romana oggi è abbandonata nelle scuole. Augusto fu un 'disonesto'. Prima finse di essere più cesariano di Antonio. Poi però lo tradì e lo attaccò, forzando la mano al Senato. Un doppiogiochista tremendo». Per Cardini prevalsero una serie di coincidenze favorevoli: «Augusto ebbe la fortuna di avere un avversario che non era politicamente lucido. Antonio era un passionale, prese quella sbandata per Cleopatra la regina d’Egitto… E per Augusto fu facile accusarlo di tradire lo Stato con una donna straniera. Poi in un tempo in cui c’era bisogno di pace Augusto fu un politicante molto abile nel presentarsi come il mediatore. La storia politica italiana dall’Unità ad oggi dimostra che nei periodi di crisi viene sempre premiato l’equilibrio. Peccato che spesso sfoci nel trasformismo: Augusto stesso perseguì il sistema di compromessi con i gruppi senatoriali in auge nella tarda repubblica». Non da ultimo, secondo Cardini, anche una singolare coincidenza: «La nascita di Cristo sotto Augusto ha fatto sì che perfino la Chiesa perpetuasse il suo mito: anche sant’Ambrogio aveva una predilezione per lui». Luciano Canfora, docente emerito di Filologia classica all’Università di Bari, è cauto: «Stiamo parlando di un uomo che visse 77 anni di cui almeno 57 al potere riuscendo a morire nel proprio letto: una cosa inaudita per la storia di Roma. Ma divise già i suoi contemporanei. Tacito ci rivela che alla sua morte una parte esaltava colui che aveva finalmente messo fine alle guerre civili e restituito la pace. E un’altra parte diceva che tutta la carriera era stata fondata sull’inganno con l’uso strumentale di Cesare come padre da vendicare. Probabilmente avevano ragione entrambi. Augusto restaurò certo forme statali di tipo repubblicano allontanandosi dalla deriva monarchica o comunque dittatoriale in cui si era cacciato Cesare. Anche gli stessi titoli che Ottaviano si fece attribuire come augustus (uomo che ha auctoritas), pater patriae... sono tutte formule che alludono alla sua posizione dominante ma che non violavano la legalità. Però la sua restaurazione repubblicana fu un trucco. Controllava le leve del potere attraverso forme più o meno legittime ma dilatate all’inverosimile». Qualche anno fa Canfora ha ricostruito la conquista del potere di Augusto in un libretto dal titolo significativo La prima marcia su Roma (Laterza): «In realtà il primo a definirla così fu sir Ronald Syme (1903 - 1989) - spiega Canfora - . A rigore fu Silla il primo ad entrare a Roma con le legioni. Ottaviano lo fece imponendo la propria elezione a console il 19 agosto del ’43: i suoi uomini armati pilotarono le elezioni, fu un colpo di stato legalizzato». E tuttavia il tempo di Augusto passò alla storia come una nuova 'età dell’oro': «Alla guerra subentrò la pace ma fu anche una definizione - precisa Canfora - che lui stesso ordinò agli scrittori e ai poeti dell’epoca. I risultati della politica edilizia di Augusto furono indubbiamente importantissimi. Rimane però un maestro dell’arte politica in quello che essa ha di sommamente ingannevole. Questo nella politica che noi viviamo si coglie molto bene». Non ci sono invece dubbi per Alfredo Valvo, docente di Storia romana ed Epigrafia latina all’Università Cattolica di Milano: «Augusto fu certamente un uomo fuori del comune. Creativo e abilissimo dal punto di vista del pensiero e della comunicazione. Fu superiore anche a Cesare e ne continuò l’opera. Se Cesare conquistò, Augusto integrò con sapienza di diritto e di governo le province conquistate ponendo le premesse per un’idea di Europa». Valvo non lo nasconde: «Augusto si macchiò di crimini efferati, come nella guerra di Perugia, però bisogna considerare che era il momento iniziale della presa del potere. Certo strumentalizzò la morte di Cesare e ancor più l’adozione ma è vero che Cesare in persona lo aveva nominato suo erede: l’unica possibilità che Augusto aveva di entrare nel gioco era quella di richiamare la morte di suo 'padre' adottivo. E la prima cosa che fece fu ricompensare i veterani di Cesare. Giocò certamente con spregiudicatezza tutte le sue carte politiche, ma era inevitabile. Così come fu abile nella propaganda. Ha dato fiato e continuità all’opera della repubblica che ha ucciso, ma salvandone la forma». Di gran lunga per Valvo prevalgono i meriti: «Fondò il suo potere non sulla violenza, ma sull’autorevolezza. Già quand’era ventenne spiccava per la sua acutezza e abilità politica. L’età dell’oro fu un capolavoro di intelligenza politica. Fu lui a favorire la nascita dei grandi circoli culturali come quello di Mecenate e a raccogliere copiosi frutti dalla collaborazione di grandi poeti, da Virgilio a Orazio (se pur repubblicano convinto). Propulsore di cultura alla maniera di un principe rinascimentale, ridiede un volto anche religioso alla città di Roma innalzando ben 82 templi. Fu, in apparenza, il più religioso degli imperatori e fece votare leggi in favore del matrimonio e a protezione della famiglia. Rimase sempre fedele alla moglie, Livia, sebbene fosse una donna difficile e temibile. Ma Augusto credeva nel matrimonio, anche per rispondere a una gravissima crisi demografica. Nonostante le ombre dalle quali il suo lungo regno non fu esente rimarrà per sempre un modello in politica per fermezza e capacità di rispondere alle esigenze del bene comune».