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L'allarme di Lassègue e Garapon. «Attenti, si va verso un regime digitale»

Simone Paliaga mercoledì 10 marzo 2021

Tom Cruise e Samantha Morton in una scena di “Minority Report” di Steven Spielberg

L’informatica favorisce la produzione di significato in modi nuovi. In quanto scrittura, cambia le regole con cui l’uomo costruisce i simboli sociali «La tecnologia digitale produce una svolta antropologica perché modifica l’insieme delle attività della società e le norme giuridiche sono una buona prospettiva da cui osservarla perché sono al cuore del modo in cui agiamo collettivamente» raccontano ad Avvenire, in un’intervista che «preferiscono firmare insieme», l’epistemologo Jean Lassègue e il magistrato Antoine Garapon il quale oggi alle ore 18 interverrà a 'Host in Translation', rassegna in live streaming trasmessa sul sito delle edizioni il Mulino, sul suo profilo Facebook e sul suo canale You Tube, per parlare del loro libro Giustizia digitale. Determinismo tecnologico e libertà (il Mulino, pagine 280, euro 28) con Daniela Bonato, moderati da Maria Rosaria Ferrarese.

Nel libro partite dall’idea che la rivoluzione digitale sia una rivoluzione grafica...

Il regime di scrittura sta cambiando attraverso l’informatica. Abbiamo considerato l’informatica come una nuova tappa nella lunghissima storia della scrittura che inizia in Mesopotamia e Egitto 5300 anni fa. Per quanto lunga sia la sua storia le tappe che ne scandiscono lo sviluppo sono poche. L’ultima è il digitale che, producendo nuovi segni di scrittura, si impossessa di tutte le attività umane in modo trasversale e le modifica. Prendiamo le norme giuridiche. La digitalizzazione non avviene solo perché i testi delle leggi sono trascritti digitalmente ma perché la stessa legalità è prodotta da software a supporto delle decisioni nel corso dei processi, da banche dati che raggruppano molte sentenze e persino da tribunali online che sfuggono in parte alla sovranità statale.

Perché la rivoluzione digitale riduce la complessità della realtà a semplici segni?

Il sogno digitale consiste nel codificare completamente la realtà attraverso i numeri e di attenersi esclusivamente a questi quando si eseguono i calcoli. Ogni giorno assistiamo al diluvio statistico che si è impadronito delle nostre società da quando i computer sono diventati abbastanza potenti e noi privilegiamo sempre di più le attività online elaborate dal computer attraverso il calcolo. La pandemia ha rafforzato questa tendenza già in atto. Tuttavia questo è solo un sogno perché la realtà non può essere confusa con un calcolo numerico per ragioni matematiche molto precise. Nel nostro libro le spieghiamo ma abbiamo anche cercato di comprendere il desiderio collettivo che si manifesta in questo sogno e che privilegia la delega alle macchine per risolvere tecnicamente i problemi posti dalle interazioni umane.

Perché la rivoluzione digitale sconvolgerà il diritto?

Perché è una rivoluzione simbolica. L’informatica contribuisce alla produzione di significato in modi nuovi. In quanto nuova forma di scrittura opera una trasformazione delle mediazioni attraverso le quali l’uomo costruisce i significati sociali. Prendiamo il giudizio espresso in tribunale. Una cosa è prevedere una decisione, un’altra è credere che gli algoritmi saranno più oggettivi perché liberati da ogni 'bias cognitivo' cioè da tutta l’umanità, dagli uomini. Possiamo anche considerare la blockchain, che offre 'contratti intelligenti' in grado di trasferire la proprietà senza scrittura alfabetica o firma autografa. Così la tecnologia digitale si pone quindi come fonte alternativa di normatività giuridica.

Perché questa rivoluzione danneggia la 'dimensione sacrale' dell’istituzione giudiziaria?

L’atto inaugurale della giustizia è un appello, un grido di indignazione per l’ingiustizia. Il momento della giustizia è la comparizione davanti a una parte terza in un processo che riunisce i forti e i deboli nello stesso posto e li pone sullo stesso piano. Ora questa parte del mistero, del caso, dell’esperienza condivisa, dell’incalcolabile, questa parte della saggezza, del dubbio e dell’ignoto, che insieme costituiscono l’opera della giustizia, nella sua nobiltà e nella sua umanità, è minacciata sia dalla fascinazione dei giuristi per i metodi capaci di risolvere tutte le défaillance della giustizia sia dall’ambizione prometeica degli scienziati di impadronirsi della funzione del diritto.

Scrivete che il digitale estenderà il ragionamento economico ovunque?

Poiché il digitale misura tutto, esso facilita il ragionamento strategico piuttosto di garantire i diritti. Prendiamo lo slogan 'Pay as you drive', paghi per i rischi che causi mentre guidi, non per quelli causati da altri. Ciò implica un contratto adattato alla guida di ognuno, a seconda del numero di incidenti ma anche in base al comportamento identificato dai big data. Esso prevederebbe un limite di velocità adattato allo stato della strada, alla potenza dell’auto, al meteo, alla situazione del traffico ma anche alla personalità del guidatore e al suo modo di guida. Passiamo così da una legge generale e impersonale a una legge personalizzata e situazionale. Lo stesso vale per i medici. Prima di eseguire un intervento chirurgico, ogni medico potrebbe sottoporre i dati della cartella clinica del paziente alla compagnia di assicurazione che gli darebbe l’autorizzazione a operare o meno se si vuole mantenere la tutela della propria assicurazione. Queste ingiunzioni personalizzate, basate sul calcolo del rischio, sono l’esatto opposto della legge comune che enuncia delle regole astratte applicabili a tutti. È facile immaginare come possano essere fonte di disuguaglianze.

Il digitale fonte di disuguaglianza?

Si manifesta non appena ci rendiamo conto che la maggioranza dei cittadini è diventata, senza saperlo, analfabeta di fronte al codice informatico nel momento in cui tutte le nostre interazioni sono mediate dal digitale. Nonostante lo sforzo secolare che è stato fatto, in Europa in particolare, per garantire l’alfabetizzazione dei cittadini per una loro consapevole partecipazione alla vita pubblica, ci troviamo in una situazione simile a quella dell’Antichità e siamo obbligati a dipendere, per tutte le nostre interazioni sociali, da scribi-informatici al servizio dei potenti. Questa situazione non è inesorabile, per evitarla bisogna promuovere la partecipazione dei cittadini alla conoscenza degli strumenti digitali e una regolamentazione che protegga la sovranità degli Stati.