Agorà

LE STORIE. Asterix, un galletto per salvare la «grandeur»

Franco Cardini domenica 15 febbraio 2009
Rocce, acque, foreste. Siamo verso il 50 a.C. Una strada sterrata: i Romani non sono ancora arrivati a lastricarla, in quell’angolo libero e remoto dell’Armorica gallica. E due guerrieri galli, un piccoletto (piccolo come Napoleone) dal profilo che somiglia molto a quello del generale Charles de Gaulle e un grasso gigante rubicondo camminano pensierosi. Sullo sfondo, dritto e solenne, un alto acquedotto romano. Il segno della civiltà, della maestà, della saggezza, del potere di Roma. Il piccoletto gli lancia un’occhiata di traverso e borbotta: «Questi Romani rovinano il paesaggio...». Li conosciamo ormai da cinquant’anni, il piccolo Asterix e il grosso Obelix («...non sono grasso: sono solo un po’ robusto...»). Conosciamo la loro rissosa allegria, il loro spavaldo coraggio, il loro travolgente amore per i cinghiali arrosto e la cervogia e il loro piccolo villaggio, unico presidio di libertà celtica circondato dagli insediamenti romani della Gallia conquistata dal grande Giulio Cesare: insediamenti dai nomi «romani» che tuttavia vanno pronunziati alla francese, accento sull’ultima vocale e «u» finale ch’è quasi una «o», se vogliamo intenderne il significato ( Babaorum, Aquarium, Laudanum, Petibonum). Anche i loro compagni li conosciamo bene: Panoramix il druido confezionatore della pozione magica che rende invincibilmente forti: Abraracourcix il capovillaggio (propriamente un rix celta: quasi come il latino rex), Idefix il cagnolino di Obelix. E ancora gli altri: il vecchio pescivendolo rissoso dalla moglie procace, il bardo stonato, la bellissima Falpalà alla quale – non appena il piccolo gallo e i suoi amici hanno avuto la gloria di uscire dai cartoons, sia pur animati, per venir tradotti nel linguaggio filmico – non si è trovato niente di meno che Laetitia Casta per prestare un volto (e non solo il volto, a nostra massima gioia!). René Goscinny e Albert Uderzo cominciarono nel 1959, mezzo secolo fa, a pubblicare la bande dessinée française, la striscia a fumetti francese per eccellenza: un travolgente successo, con traduzioni in 107 lingue del mondo e 400 milioni di album venduti. Non era facile, il ’59, in Francia. Il 12 dicembre dell’anno prima il generale De Gaulle era stato eletto presidente della neonata Quinta Repubblica: lo avevano voluto soprattutto quelli che non intendevano mollare l’Algeria, ma il generale pensava già a qualcosa d’altro e stava preparandosi ad abbandonare la Nato e a seguire una sua rinnovata, consolidata politica di grandeur e di energico europeismo abbandonando le pastoie colonialiste. Non era per caso che il piccolo fortissimo paladino dell’indipendenza gallica avesse il profilo del generale: ma allora che cos’era adombrata dietro la potente eppur sempre scazzottata e ridicolizzata superpotenza romana? Che dietro le aquile legionarie superbe ma un po’ spennacchiate si celasse quella statunitense, che De Gaulle s’apprestava a far volar via dal suolo francese? Asterix rappresentò uno dei primi sussulti di ripresa e di révanche della France etérnelle: e fu così che sciovinisticamente i francesi l’intesero. Una Gallia un po’ anacronistica e molto provinciale, con tutte le sue manìe gastronomiche (le chanterelles, il beaujolais nuovo che sta per arrivare...) e tutta l’allegra folle spacconeria che si dice fosse propria dei Galli e cui i loro discendenti, per quanto largamente inquinati da Latini e da Germani – Franchi prima e Normanni poi –, non hanno mai saputo rinunziare. A sterix contro tutti: contro i Germani che sono già un po’ nazisti, contro i Britanni che bevono acqua calda (il tè deve ancor arrivare dall’Asia, nel I secolo a.C.), contro i pirati vichinghi o africani, gli Egizi – volete non mandare i nostri eroi anche a incontrar la bella Cleopatra, per portar la quale sul grande schermo si è scomodata addirittura Monica Bellucci?; e giù, ancora, con tutta una serie di avventure esilaranti per quanto un po’ monotone (ma l’iterazione, si sa, è una delle chiavi della comicità), con epiche scazzottate e pantagrueliche mangiate e non senza qualche incontro con un Giulio Cesare quasi filologicamente perfetto, il nobile volto smagrito e grifagno, la boria e la spocchia del vincitore ma anche la duttilità furbastra del dittatore di professione, del grande politico (sarà un caso che la sua maschera cartoonistica somigli tanto al nostro compianto Avvocato, a Gianni Agnelli?). Li abbiamo amati e continuiamo da amarli, Asterix, Obelix e gli altri: e di rado ci passa per la testa che se non altro da italiani dovremmo tifare per i legionari di Cesare. Sono così sfacciatamente, così platealmente, così intollerabilmente bien français che ci fanno ridere; e ci fanno tenerezza. In fondo, sono un prodotto impeccabile d’un popolo che a pochi giorni dall’inizio della seconda guerra mondiale aveva già i tedeschi nelle strade di Parigi e che pure resta convinto di averla vinta, quella guerra. Viste le premesse, perché non immaginarsi un piccolo villaggio che tiene a bada quel Cesare che, nella realtà, piegò anche il prode Vercingetorix? Qualcuno si è divertito a sottolineare errore e anacronismi: Cesare non era imperatore, un centurione non può comandare dei castra legionari, le patate non c’erano, quei buffi elmi con ali e corni sono una fantasia romantica... Ma in fondo è proprio questo il bello. Questi Galli sono tanto sciovinisti da farsi voler bene dagli stranieri. In fondo, è proprio questa la Francia.