Ciclismo. Fabio Aru: «Famiglia e amici, così mi sono ritrovato»
Il ciclista Fabio Aru, 30 anni, punta di diamante team Uae Team Emirates
Le sue parole sono quasi passate sotto silenzio, nonostante Fabio Aru fosse stato più che chiaro. In piena pandemia, ruppe il silenzio (intervista al Corriere dello Sport, ndr) e prese a calci tutti gli hashtag del mondo. «Come si fa a dire #andràtuttobene con oltre ventimila morti da piangere, pensate davvero che stia andando tutto bene?». Il corridore sardo di stanza da qualche anno a Lugano con la moglie Valentina e la piccola Ginevra di sette mesi, non ha mai amato la facile retorica e, soprattutto, non è tipo da accodarsi al gruppo: piuttosto si stacca, si lascia scivolare nelle retrovie se non riesce a stare in testa a tutti. L’omologazione non gli è mai piaciuta, figuriamoci in un momento terribile come quello che ognuno di noi ha appena trascorso. Uno stop forzato, che ha tolto ogni riferimento a tutti, anche e soprattutto a lui, che di obiettivi e appuntamenti si è sempre nutrito. «Se mi fosse capitata una cosa del genere qualche anno fa non so come avrei reagito - ci ha confidato qualche giorno fa -. Diciamo che pativo i cambi di programma, non ero bravo a gestirli. Sono migliorato, allora forse ero troppo giovane». Poi quella denuncia, che altro non è che uno scatto in avanti, pronunciato il 31 marzo scorso. «Non mi piace- va assolutamente quel clima quasi euforico fatto di frasi fatte e slogan stucchevoli privi di senso in piena pandemia. Mi davano davvero molto fastidio, non li sopportavo - spiega il sardo della Uae Emirates -. Adesso, grazie a Dio, la situazione è migliorata, ma quante vite abbiamo dovuto piangere? Che prezzo abbiamo dovuto pagare? Lo ripeto, è stata dura e non è andato affatto tutto bene».
E dire che quest’anno doveva essere anche il principio della sua seconda vita, o almeno la svolta di una carriera che da almeno due anni ha subito un brusco rallentamento. Questa volta, però, non si è fermato Fabio Aru, ma il mondo.
«È così, due anni difficili e una stagione, questa, che doveva essere quella del rilancio e spero lo possa essere visto che il 1° di agosto con le Strade Bianche dovremmo tornare a correre. Due anni difficili, nei quali mi è successo di tutto, ma prima qualcosa di buono e di bello l’ho fatto vedere. Due podi al Giro, una vittoria alla Vuelta, un 5° posto al Tour con maglia gialla, insomma, c’ero. Adesso sento di poter tornare.
Sarà per Ginevra, sarà che il 3 luglio compirà 30 anni, sarà per questo stop forzato, sarà per tutte queste cose messe assieme, ma ai nostri occhi sembra un Aru molto più sereno e consapevole di sé stesso.
Me lo dicono in tanti e anch’io mi sento più tranquillo, tanto è vero che in questo lungo periodo di quarantena mi sono anche aperto al mondo del ciclismo nelle dirette Instagram alle quali non avrei mai partecipato prima. Però si cambia, si cresce, ci si circonda di persone che ti vogliono bene e ho stretto ancor più il mio rapporto con Vincenzo Nibali. Lui è un grande corridore ma è soprattutto una grande persona. Ci siamo allenati tantissimo assieme e anche queste scorribande su Instagram le ho fatte perché c’era lui.
Pronto per ritornare ad occupare il proprio posto?
La voglia è tanta ed era già tanta da quest’inverno. Al debutto, in Colombia, avevo trovato subito una buona condizione e la serenità necessaria per essere competitivi. Solo dopo l’operazione all’arteria iliaca femorale è tornato il sereno anche se poi una serie di errori hanno fatto nuovamente peggiorare la situazione, anche per colpa mia. Ho imparato che dopo un infortunio come il mio ci vuole solo e soltanto pazienza.
La voglia di rientrare le ha fatto accelerare nel recupero?
Con il senno di poi direi che è stato un errore. Ma la voglia ce l’avevamo in tanti: io, la squadra e i tifosi che mi volevano nuovamente protagonista. Preferisco prendermi le colpe e non fare polemiche.
Ha temuto di non poter tornare ad essere più lo stesso corridore?
Sono due anni che non vado. Il dubbio l’ho avuto e sarei ipocrita se lo negassi. Dalla maglia gialla del 2017 e il tricolore, in pratica in cima al mondo, a ritirarmi dal Giro e staccarmi. Penso di aver fatto un 4° e 5° posto negli ultimi 2 anni. Mi creda, fino all’operazione non avevo capito cosa mi fosse successo.
Chi c’è sempre stato in questi momenti difficili?
Valentina, mia moglie. Poi Alberto Ziliani, il mio procuratore, con Paolo Tiralongo, Matxin che mi sono stati altrettanto vicino.
In questo periodo è parso che la sua amicizia con il gruppo di italiani, e in particolare con Vincenzo Nibali, sia cresciuta a dismisura?
Con Diego Ulissi e Domenico Pozzovivo ho un ottimo rapporto, mentre Alberto Bettiol ho imparato a conoscerlo un po’ alla volta e adesso siamo molto affiatati. Con Vincenzo confesso di aver ritrovato un’unione che in passato non avevo mai avuto, anche per miei errori.
Si confronta spesso con lui?
Assolutamente si. Cosa mi dice? Mi esorta ad osare anche in allenamento, a divertirmi senza farmi tanti problemi. Lui è molto più ragazzino, io un pochino più contratto e rigido, ma so che ha ragione lui.
Giro o Tour?
Farò un “giro” al Tour e poi la Vuelta. Ormai ci siamo, non vedo l’ora di cominciare.