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Tour de France. Aru, su quella vetta si gira via col vento

Pier Augusto Stagi giovedì 14 luglio 2016
Cosa sarà mai il Ventoux? È una salita come tante altre. Non sanno cosa dicono, non sanno a cosa vanno incontro. Lo sa perfettamente Fabio Aru, che sul Monte Calvo non ci è mai salito ma con rispettosa curiosità ci andrà oggi per la prima volta nella sua vita. Non sarà una scalata completa, sarà parziale, fino a 6 km dalla mitica vetta, per ragioni di sicurezza: causa vento. «Gli organizzatori hanno fatto bene - dice il 26 enne corridore sardo , oggi sono previste raffiche di Mistral fino a 104 km/h. Sarebbe un rischio per tutti e con quel vento noi corridori non riusciremmo nemmeno a stare in sella. In ogni caso dei 22 km ne faremo 16, e non sarà una passeggiata. L’inferno si scatenerà lo stesso io lo vedrò davanti ai miei occhi».  A Bedoin, da dove il Gigante della Provenza inizia a puntare il cielo, dicono: «Non è pazzo chi sale al Ventoux, ma chi ci torna un’altra volta». Fabio Aru ci salirà oggi per scalarlo come fece - primo tra gli “scalatori“ famosi - Francesco Petrarca nella notte del 25 aprile 1336. Il poeta ci salì a piedi, per ammirarne la bellezza, per scoprirne la vegetazione e un microclima unico, oltre che per scrutare il cielo. Aru, Nibali e compagnia pedaleranno in quella che può essere considerata una riserva naturale, con la caratteristica di contenere flora mediterranea (cedri, pini) e dell’estremo nord. Ha scritto Roland Barthes: «Il Ventoux ha la pienezza della montagna, è un dio del male al quale bisogna offrire sacrifici». C’è tanta retorica nella letteratura di questa montagna, ma anche parecchia sofferenza e anche dolore. Nel 1957 rischiano di morire Mallejac e Van Genchten, dieci anni dopo ci lasciò la pelle il povero Simpson. Il Ventoux è una montagna cattiva e asciutta. Non arriva ai 2mila metri, ma su in cima non c’è vegetazione. La cima è una pietraia che ricorda la luna. Lassù, in qualsiasi momento dell’anno, manca il respiro; in estate si muore di caldo. La salita comincia da Bedoin. La prima corsa organizzata risale al 1935. Il Tour ci passa la prima volta nel ’51. Verso il Chalet Reynard - qui oggi ter- minerà - posto a circa 6 km dal traguardo: dove sparisce la vegetazione e comincia davvero l’inferno. È in questo tratto che il 13 luglio 1967 Simpson comincia a perdere contatto dai primi e a salire a zig zag. Mancano tre chilometri alla cima, quando cade una prima volta: lo rimettono in sella.  Quell’anno si corre il Tour per squadre nazionali, quella di Tommy è inglese - una squadretta - ma lui è un vero talento, tanto è vero che ha già firmato un contratto per passare alla Salvarani con Felice Gimondi. E come molti inglesi sogna di andare a vivere in Toscana o in Provenza. Le ultime pedalate di Simpson si possono ancora vedere in qualche cineteca. Sale ondeggiando come un ubriaco. Poi crolla. A nulla serve la respirazione a bocca a bocca prontamente praticata da uno spettatore, poi arriva Dumas, il glorioso medico del Tour: istampa. niezione e massaggio cardiaco. Non c’è niente da fare. All’ospedale di Santa Marta di Carpentras ci arriva morto: sono le 16.30. Levitan ne dà l’annuncio in una chiesa sconsacrata adibita a sala- Molti piangono: tra questi Felice Gimondi. Ho letto tutto quanto c’era da leggere sul Ventoux - ci racconta Aru -. I libri non mi hanno mai fatto paura, in particolare quelli che parlano di storie di sport. Mi piace molto oggi fare il lavoro che sognavo di fare e di essere tra i protagonisti che possono scrivere nuove pagine di storia che spero possano essere un giorno leggenda. Ho letto che Simpson è morto per più cause. L’autopsia parlò di tracce di amfetamina, insolazione ma anche alcol. Lessi qualche anno fa che Giancarlo Ferretti, all’epoca gregario di Gimondi e successivamente grandissimo direttore sportivo, raccontò di una borraccia che Simpson aveva preso da uno spettatore pensando fosse acqua e invece era cognac». Da anni, in quel punto dove Simpson fu adagiato sulla pietraia, c’è la stele che lo ricorda. Nel ’70 l’immenso Eddy Merckx, dopo aver attaccato come suo solito in prossimità dello Chalet Reynard, si toglie il berrettino in segno di rispetto e si fa il segno di croce. «Ho davanti ai miei occhi anche la vittoria di Pantani davanti ad Armstrong - prosegue il suo racconto Aru -. Un testa a testa bellissimo, dove c’è tutta l’essenza del ciclismo e di questa montagna. Pantani che cede, ma non molla. Rinviene e sembra andare via, poi accusa ancora e quando i giochi sembrano ormai fatti per il texano ecco il Pirata rinvenire e vincere allo sprint». Quella vittoria fu una bellissima dimostrazione di forza da parte di Pantani ma anche manifesto dell’arroganza e dell’insensibilità dell’americano che poco dopo l’arrivo sottolineò il fatto di aver lasciato la tappa al Pirata. «Io attendo questa giornata con curiosità ed emozione - aggiunge il sardo -. Sogno di poter fare un bel Tour e di chiudere in crescendo. Dai Pirenei sono uscito non male, ma ora c’è il Ventoux sulla mia strada. So che dall’Italia stanno per arrivare tanti miei tifosi, alcuni anche dalla Sardegna: sono orgoglioso di tutto questo affetto». Il Ventoux non si chiama così a caso. Lassù in cima il Mistral soffia forte. Vola tutto, volano anche i pensieri, che a queste quote diventano sogni e a volte leggende.