Agorà

Spiritualità. È morta a 101 anni la scrittrice francese Annick de Souzenelle

Gianni Vacchelli martedì 13 agosto 2024

La scrittrice di spiritualità Annick de Souzenelle (1922-2024)

Molti tesori ci ha lasciato Annick de Souzenelle, la “signora delle lettere ebraiche” nella sua lunga vita di grande interprete della Bibbia e della via interiore e trasformativa, scomparsa l'11 agosto all'età di 101 anni. In primis ricordandoci che l’universo biblico è ontologicamente simbolico: un sapiente ordito in cui sono collegati mirabilmente l’interno e l’esterno, l’alto e il basso, il divino e l’umano, senza mai dimenticare il cosmico. E il recupero delle dimensioni simboliche ed interiori del Gran Libro biblico è più che mai necessario, specie oggi, in tempi così travagliati e di rivolgimento. È nostra responsabilità essere pronti, svegli, cooperanti nell’avventuroso esodo. A questo ci ha costantemente invitato Annick de Souzenelle, con la sua vasta opera, ben nota in Francia e quasi integralmente tradotta in italiano da Servitium. Ma chi è Annick de Souzenelle? Nata a Rennes nel 1922, Annick ha vissuto per molti anni a Parigi, per poi trasferirsi nel piccolo comune di Rochefort-sur-Loire, non lontano dalle rive ancora selvagge della Loira, in mezzo alla campagna di Angers. Fin quasi all’ultimo con il marito Geoffroy, nato al cielo a 108 anni, nell’aprile del 2021. Annick, in giovinezza studiosa di matematica, poi infermiera e anestesista, riscopre il cristianesimo ortodosso grazie al vescovo Jean de Sant-Denis, al secolo Evgraph Kovalevsky, insigne teologo e pioniere del recupero delle radici dell’Ortodossia in Occidente. Sua allieva diretta, Annick studia teologia e si avvicina alla lingua ebraica, mentre diviene psicoterapeuta junghiana. Nasce così la personale sintesi souzelliana: nella sua lettura della Bibbia, infatti, le intuizioni junghiane si intrecciano con la radice ebraica e con le simbologie (anche numeriche) delle sue lettere, con la theosis (la «divinizzazione») della mistica cristiana d’oriente, con il valore fondante dei miti greci auscultati in profondità, con l’attenzione al corpo interno ed esterno. Non a caso Il simbolismo del corpo umano resta il suo libro più noto e più tradotto.Annick de Souzenelle lo ripete ad ogni passo della sua vasta opera: non possiamo limitarci ad una lettura esteriore del testo biblico, solo con gli occhiali dell’“esilio”. Esso è la nostra condizione abituale, contaminata di meccanicità e inconsapevolezza, a meno che non ci risvegliamo a noi stessi, al divino che ci intride trascendendoci, a tutta la realtà. YHWH, il sacro Tetragramma, dice ad Abramo: lek leka. Noi traduciamo solo «Vattene [dalla tua terra]» e non vediamo più il significato interiore: «Vai per te», «Vai verso di te».Le pagine più importanti Annick le ha dedicate alla rilettura della Genesi e in particolare ai primi tre capitoli, creazione e caduta. Le scoperte e i ritrovamenti strabiliano. Sicuramente Gen 1,1 recita: «In principio Dio (Elohim) creò i cieli e la terra». Non possiamo disperdere questo senso primo, letterale, che ci richiama alla creazione esterna, mirabile – «cieli e terra» – e al mistero che, pur essendovi immanente, la trascende (Elohim). Tuttavia il versetto dall’ebraico potrebbe essere tradotto anche: «In principio Dio creò te [che sei] cieli, te [che sei] terra». E così ecco squadernarsi il mistero di cieli e terre interiori, che sono dentro di noi: microcosmo e macrocosmo costitutivamente interrelazionati. La Bibbia parla anche di questo livello. E ci ricorda che la realtà è un mistero trinitario radicale dove il divino, l’umano e il cosmo (cieli e terre) danzano la loro danza inter-in-dipendente.L’«albero della conoscenza del bene e del male» fa certo parte di questo disegno. La traduzione, tuttavia, secondo A. de Souzenelle, è discutibile: «bene» e «male» sono due concetti astratti, più greci che ebraici. Meglio si dovrebbe tradurre: «conoscenza del compiuto e dell’incompiuto». Liberamente potremmo dire: luce e ombra, che non sono due realtà in dialettica tra loro, come bene e male, ma in qualche modo radicalmente legate insieme. Poi c’è l’albero della vita, l’altro grande simbolo biblico (e diagramma-principe della qabbalah). Perché prima di tutto c’è la Vita, la grande vita, che invita l’uomo a fare un cammino divino-umano dal compiuto all’incompiuto, dalla luce all’ombra, dal conscio all’inconscio e viceversa, per poi ritornare e riscendere, continuamente. E l’uomo non può mangiare dell’albero del bene e del male, del compiuto e dell’incompiuto, senza in qualche modo esserlo diventato. Chi crede di poter possedere la conoscenza senza essersi fatto conoscenza e amore, non è più nel dinamismo della vita ma del potere, la grande ombra che compare in Gen 3. E infatti il serpente avanza, a de-simbolizzare, a diabolizzare. Il serpente mente da subito, ma in qualche modo è anche necessario: perché il compimento avvenga, ci deve essere la prova, che è ontologica, e sempre affidata a un avversario. E così il serpente si presenta all’uomo, ma in verità parla ad Iššah, la donna, non ancora chiamata Eva. Chi è Isshah? È “l’altro «lato» di Adam, e, se rappresenta una donna reale, senz'altro è anche il suo femminile interiore, il suo potenziale incompiuto che contiene il nucleo divino. E i due poli - Adam e Išshah - devono lavorare insieme, in coppia: uomo e donna nella realtà esteriore, ma anche conscio e inconscio nell’interiorità. Non devono essere confusi o separati, ma distinti e uniti insieme. La caduta sovvertirà tutto questo ordine e questa possibile armonia. Eppure Gen 3 può essere riscritto ogni giorno: Cristo, il grande archetipo che tutti ci comprende, ha vissuto la prova ontologica, compiendola. Non l’ha fatto solo al nostro posto, ma anche perché noi facciamo lo stesso. L’Alleanza così è ritrovata, anzi: è sempre presente, se «andiamo verso noi stessi». Ed Annick de Souzenelle è con noi in questo viaggio.