Reportage. Nei luoghi dove risuona ancora la domanda di Giovanna d'Arco
La chiesa a Rouen dedicata al martirio di Giovanna d'Arco
Di tante cronache che vedono incrociarsi fedi, mito, storia e superstizione, quella di Giovanna d’Arco è tra le più inquietanti e affascinanti insieme. È impossibile propendere per una direzione piuttosto che un’altra quando, nell’avvicendarsi dei fatti della pulzella d’Orleans si percorre il crinale che separa l’inseparabile, la follia e la santità, la visione e l’allucinazione, la fede e la realpolitik. Comunque sia, protagonista e coprotagonisti della storia iniziata a Domrémy, piccolo villaggio dove Giovanna è nata nel 1412, sono legati tra loro da un filo indissolubile che ha mosso i loro gesti e pensieri in un fato inarrestabile e incontestabile, un destino potente che li ha attraversati stravolgendo non solo la loro storia ma quella di una intera nazione.
Non mi interessa la questione storica, ampiamente documentata e naturalmente ambigua a dispetto di ogni apparente evidenza. Quello che mi inquieta profondamente, e dovrebbe inquietare ognuno che si incroci con la storia di Giovanna D’Arco, è che il nostro destino si manifesta in modi strani, multiformi, inaspettati e richiede sempre una scommessa al buio per essere compiuto. Non si tratta di una semplice lezione morale. Si tratta della potenza di una forza che, proveniente da dentro o fuori, frutto di suggestione o rivelazione, non ammette repliche o mezze risposte. Giovanna è prima di tutto il segno di come l’improbabile sia spesso il seme di rivoluzioni e rivelazioni, e di come il mondo, in particolare quello dei potenti, si opponga con ogni mezzo a questa evidenza, ostinatamente quanto inutilmente.
Giovanna, frutto di una Francia umile e rurale, attraversata da carestie, epidemie e guerre, era riuscita in ciò che i comandanti dell’esercito francese tentavano da tempo senza successo. Guidare la conquista di Orléans, superando il confine a sud della Loira, fino all’investitura del re a Reims, eventi la cui visione anticipata l’aveva obbligata a intraprendere il percorso improbabile di farsi ascoltare da Carlo VII il 10 marzo del 1429. Superando ogni ostacolo e ottenendo dal re, lei, diciassettenne contadinella analfabeta, venuta dal nulla, il comando dell’esercito. La sola forza incrollabile erano le sue voci, le sue visioni. Dopo questo servizio reso alla Francia, venne inevitabilmente tradita e consegnata dai borgognoni agli inglesi. Giovanna, a fronte della sua incontenibile evidenza, andava negata e cancellata. Politici, religiosi, studiosi non potevano accettare che un destino così grande avesse investito una piccola tra i piccoli. Così venne imbastito un grossolano processo per eresia, cui teologi e dotti ambivano partecipare per mostrare il proprio asservimento al potere che di Giovanna aveva già stabilito il destino.
A un certo punto il processo di Giovanna non è stato più la gestione del fato di una condanna tremenda come il rogo. È diventato un ipocrita convegno di studiosi che dovevano in punta di cavillo stabilire la malignità dei vestiti maschili necessari a Giovanna per convivere con i soldati o dello stendardo con cui guidava le campagne, che portava la scritta “Jesus Maria”. I dotti teologi erano interessati ad elargire un duplice favore. Liberare il re francese da una presenza scomoda che rischiava di metterlo in ombra e di testimoniare del potere affidato a una giovane di campagna per guidare i suoi eserciti. Quindi liberare gli inglesi dalla nemesi che con la sua inspiegabile forza carismatica aveva condotto alla loro sconfitta. La condanna era fatale per Giovanna perché aveva mostrato che la visione può ribaltare gli equilibri del mondo e questo non è ammissibile, anche a costo di negare la realtà.
A Rouen la cattedrale, l’arcivescovado, la Place du Vieux Marché dove venne appiccato il rogo, la chiesa moderna (la cui struttura organica potente e straziante dell’esterno si diluisce in una banalità decorativa all’interno) che ne ricorda il martirio, sono intrisi di un dubbio eterno, che la forza delle strutture non riesce ad allontanare. Dubbio salutare e mortale. Giovanna è l’incarnazione di quel dubbio. Dentro quel dubbio si snoda la ricerca e la fede autentica, e tutti coloro che hanno cercato di scacciarlo col fuoco ne sono rimasti soverchiati. Il giudizio della storia è feroce e definitivo sulla scelta del martirio di una giovane che, asceta o allucinata, è stata emblema e effettivo motore della nuova Francia. Su Giovanna, come sulle cose autentiche, prima di ragionare bisogna contemplare. Quello che è stato possibile attraverso la sua totale dedizione non lo sarebbe stato ai generali e agli eserciti.
La pulzella sentiva Dio? O le voci erano lei stessa? Questo non cambia il risultato. Se era Dio è naturale che abbia preso le forme della vita degli uomini nelle sue contraddizioni per farsi strada. Se non era Dio si trattava della forza sovrumana che riscatta l’uomo da banalità ed egoismo, concentrata in questa ragazzina semplice della campagna francese. Le grida di Giovanna risuonano ancora in quella piazza del mercato come un grido al mondo, grido del parto, grido sulla storia, grido di luce intorno al quale la vita inconsapevole scorre per sempre impregnata di quel fumo. Il grido di Giovanna è la bolla di scomunica verso i suoi giudici, mediocri e opportunisti, protetti nel momento storico da un diritto di giudizio che era la giustificazione del mostruoso al servizio del potere e degli interessi secolari.
Rouen, il cui nome sa di fuoco e di gloria, ancora oggi è concreta testimonianza della inesorabilità di un fato che noi non sappiamo spiegarci ma da cui Giovanna è stata gioiosamente travolta e dilaniata. Giovanna ha visto. Giovanna ha sentito. Qualunque cosa fosse. Che cosa, lo possiamo scoprire forse solo nei territori misteriosi e insidiosi della nostra anima. Le segrete di un processo torbido come il male sono dure da percorrere, il dubbio diventa tortura nelle torture, la paura toglie le forze. Giovanna era l’agnello sacrificale della mancanza di coraggio e umanità prima che di fede, di giudici che con la parola eresia hanno trovato il modo di liberarsi di innumerevoli ostacoli nel corso dei secoli. A leggere gli atti del processo si scopre che tutte le risposte erano già nei Vangeli. Ma si scopre anche che sopra quei Vangeli sono stati scritti altri vangeli. Vangeli secolari la cui eresia più temuta è il riprendere le origini della Parola. Vangeli cui i termini come accoglienza, apertura, amore incondizionato fanno paura. La battaglia di Giovanna al processo è ancora perfettamente attuale. E così il suo tormento. Giovanna era guerriera per caso. Credo non avesse neanche davvero contezza della forza che la attraversava.
La sua lotta ha preso le forme del tempo ma era fuori dal tempo. La visione mistica della lotta si disinteressa al vincitore o al vinto. La sublima e si identifica con essa. La vittoria è solo un dato temporaneo e superficiale. Il fuoco del fato che aveva intriso Giovanna andava oltre la vittoria, oltre la sconfitta, oltre la vita stessa. Giovanna come ogni grande lottatore era disinteressata alla vittoria. La sua frenesia e le sue certezze erano il portato più visibile di una vocazione inarrestabile, di un furore che solo due cose possono causare: il tocco di Dio o la pazzia, impossibili da distinguere. Ciò che ha concentrato in un solo punto il suo essere è lo svolgersi di quella energia irresistibile che è diventata il suo fato. La scultura nella piazza del mercato di Rouen ricorda una freccia. Svetta verso il cielo come a concentrare tutto in un solo punto, un solo sguardo da non distogliere mai, neanche quando la folla aspetta il tuo martirio ferocemente distillato come uno spettacolo. Se non era fede, se non era Dio, certo fu qualcosa che nessuno di noi dovrebbe trascurare. Perché in una forma o in un’altra ci prenderà e ci trasporterà. Nell’altrove.