L'intervista. Arbore racconta Dalla, l'anticonformista dall'anima jazz
«Era troppo bravo e per questo, benché celebrato, da vivo non è stato davvero capito fino in fondo. E la colpa, all’inizio, è stata anche nostra, di noi deejay». Se a dirlo fosse qualcun altro, potrebbe sembrare il classico elogio postumo. Ma l’ammissione ha la voce di Renzo Arbore, protagonista assoluto di radio, tv e musica dell’ultimo mezzo secolo. Siamo nel 1964. Arbore ha appena vinto il concorso da programmatore radiofonico in Rai, l’anno dopo avrebbe condotto con Gianni Boncompagni Bandiera gialla. «Mi ricordo che Boncompagni disse: "Questo Dalla non avrà mai successo, è troppo strano". "Io invece penso proprio di sì", ribattei. Ma per un bel po’ di anni pensai di essermi sbagliato». Ma perché Dalla non riusciva a fare breccia?«Per la sua matrice jazz. È stata sì la sua forza e la caratteristica principale del cosiddetto Dalla sound, ma nei primi 10-15 anni ha rappresentato più che altro un ostacolo nell’intercettare il grande pubblico. Il jazz per sua natura è un po’ ostico. Lucio pagò un caro prezzo alla sua anima jazzistica. Ma non solo a quella».Allude alla mancanza del «phisique du rôle»? «Beh, l’aspetto fisico non era dalla sua parte. Ma anche un’altra cosa giocava a suo sfavore: Lucio era un intellettuale, così quando veniva intervistato non usava la comunicativa tipica di chi vuole risultare simpatico e accattivarsi il pubblico. Poi faceva troppo l’anticonformista e vestiva male, era trasandato. Mi raccontava Massimo Catalano (suonava con Lucio nei Flippers) che aveva sempre le calze bucate e quindi non le portava. Così, quando doveva suonare, per ingannare il proprietario del night club se le disegnava con un pennarello nero. E pensare che sua mamma era una modista. Io ne so qualcosa».Perché, la signora Dalla le faceva gli abiti?Non a me, a mia madre. La signora Iole Melotti veniva a casa nostra a Foggia due volte l’anno a vendere i suoi abiti. Malvista da mio padre, per la verità, perché faceva spendere dei soldi. Ma amata da mia mamma, che ne apprezzava anche l’eloquio bolognese. Un giorno arrivò con un bambino che fui costretto a intrattenere mentre le mamme trafficavano con i vestiti. Era finita la guerra da un paio d’anni; io ne avevo dieci, quel bambino 4». Una coincidenza davvero curiosa...«Fu Lucio a ricordarmi l’episodio. La prima volta che ci vedemmo, nel ’65 alla Rca (si presentò con due paia di occhiali, uno sopra l’altro), mi disse: "Ma tu sei per caso il figlio della signora Arbore?". "Sì, come lo sai?". "Eh, io sono il figlio della signora Iole". Sulla copertina del suo disco Cambio c’è Lucio piccolo con la mamma. Lo conservo come se fosse anche una mia personale foto ricordo». Ma è vero che Dalla, come ha sempre detto forse per stupire, non sapeva una nota di musica?«Sì, in parte è vero. Non conosceva molto la teoria musicale, la musica l’aveva nel Dna. Ma spesso proprio da questa non conoscenza viene l’ispirazione. È il caso dell’altro Lucio, Battisti: ha rivoluzionato il pop cambiando i giri armonici, osava infilare un accordo di re in un brano in do». Qual è la sua principale qualità musicale?«L’originalità nelle composizioni. Prendiamo Nuvolari: canzone stranissima, fuori da ogni schema. Con l’aggiunta poi del suo modo di cantare geniale. Era capace di incredibili sfumature e svisate. Avrebbe dovuto ricevere un Grammy come jazzista e vocalist. Invece non gli è toccato. Sembrava che il suo modo di cantare fosse un divertissement, che gigioneggiasse con la voce. Soprattutto a inizio carriera». E dopo, quando era ormai famoso?«Anche se il suo successo è stato notevole dopo Come è profondo il mare, resto dell’idea che Dalla è stato ancora più grande di quanto sia stato considerato. Negli ultimi tempi però c’è stata anche da parte sua una cattiva gestione dell’immagine e del suo talento».Perché afferma questo?«Perché, generosamente per la verità, ha fatto di tutto. Faceva esibizioni straordinarie, da assoluta popstar, per poi andare a suonare per gli amici, in piccoli contesti, in qualche modo deprezzandosi. Ma poi, quando voleva, arrivava ancora la zampata del genio». Lei e Dalla avete spesso suonato insieme...«Avevamo una grande sintonia e amicizia. L’ultima cosa che ho fatto con Lucio è stata su una nave da crociera: abbiamo cantato e suonato insieme Ma come fanno i marinai. Mi manca molto il mio amico Lucio.
Tutta Bologna per Lucio.Come gli angeli di tante sue canzoni, anche l’alato Lucio da lassù starà beandosi in questi giorni degli interminabili riverberi della sua musica. Due anni fa esatti la notizia della improvvisa morte. Martedì prossimo la storica data della nascita. In mezzo, il bellosguardo di un’Anna come sono tante e il cuore in allarme di un qualsiasi Marco, volti senza tempo in cui riconoscersi. La sua Bologna anche quest’anno si prepara a celebrarlo, orfana e sempre più riconoscente. Domani sera Beppe D’Onghia, nella duplice veste di direttore d’orchestra e pianista, eseguirà «Sogni-Variazioni Sinfoniche su temi di Lucio Dalla». Prima, alle 12, i bolognesi saranno invitati a far risuonare dalle finestre aperte delle loro case «4/3/1943». Martedì, per il compleanno di Lucio, ci sarà invece la «notte bianca» in via D’Azeglio, dove abitava Dalla. E sempre il 4 marzo, 71 anni dopo Lucio, nascerà l’attesa Fondazione a lui intitolata, operativa da giugno.