Metodico e asciutto, come ci si attende – fin troppo banalmente – da un professore svizzero, dice che per lui la nomina è «un grande onore e che l’accoglie come il riconoscimento per il contributo dato alle attività dell’istituzione di cui fa parte da trent’anni». Nessun cenno, anche di fronte a un’esplicita domanda di
Avvenire, al fatto di essere un cristiano riformato e, come tale, il primo a sedere alla presidenza della Pontificia accademia delle scienze. Ma la scelta di Benedetto XVI di porlo sullo scranno occupato fino alla sua morte, nello scorso agosto, dal fisico Nicola Cabibbo ha suscitato a caldo interesse e consensi proprio per la novità costituita dall’apertura a un non cattolico di un organismo della Santa Sede. Premio Nobel per la fisiologia e la medicina nel 1978, Werner Arber ha 81 anni e vanta una luminosa carriera nella ricerca, che prosegue anche oggi all’università di Basilea. Fisico passato prestissimo alla microbiologia, deve la massima onorificenza scientifica alla scoperta e all’applicazione degli enzimi di restrizione, meccanismi di difesa dei batteri, che hanno provocato una rivoluzione nella genetica. Arber ama spiegare il complicato processo con una favola che inventò sua figlia Silvia, allora decenne, dopo aver ascoltato un racconto semplificato del padre: «In ogni batterio c’è un re, alto e magro, con molti servi, bassi e grassi. Papà chiama il re Dna e i servi enzimi. Il re è come un libro che contiene tutte le istruzioni per i servi. Papà ha scoperto un servo che usa le forbici; quando entra un invasore, lo taglia a pezzi per difendere il re. Gli scienziati raccolgono servi con le forbici e li usano per scoprire i segreti del re. Per questo papà ha vinto il Nobel». Uomo di scienza e di fede, non vede contrasti tra i due ambiti. «Molti pensano che la Chiesa abbia un atteggiamento negativo verso la ricerca. Ma non è questa la mia esperienza. Anzi, la Chiesa cattolica vuole essere informata sulla conoscenza scientifica più solida e avanzata e farvi ricorso». Di fronte alla prospettiva di uno scontro tra visione scientifica e visione religiosa, lo studioso sottolinea come «il Vaticano e le università pontificie sostengano attivamente il dialogo tra la scienza e la Chiesa attraverso, ad esempio, il progetto Stoq (Scienza, teologia e ricerca ontologica)». Certo, il dialogo è perseguito, ma i risultati? «Spesso si ottengono ottimi frutti». Intellettuale rigoroso, Arber preferisce l’asciuttezza che non lasci spazio a enfasi o ambiguità. Se il discorso si sposta sui rischi che certa scienza può portare all’uomo e alla sua dignità (dalla distruzione di embrioni alla selezione prenatale fino alla clonazione), preferisce vedere il lato costruttivo: «L’impegno comune tra mondo della scienza, mondo dell’economia e società civile (che è rappresentata sia dai leader politici sia dalla Chiesa stessa) possono spesso evitare gli abusi nell’applicazione della conoscenza scientifica». Netto, il nuovo presidente della Pontificia accademia, è anche sulle sfide che naturalismo ed evoluzionismo portano a una concezione della vita che voglia mantenere spazio per la specificità dell’essere umano. «L’anima e la dignità dell’uomo – risponde – fanno parte del regno delle credenze. Non possono dunque essere oggetto di un’investigazione scientifica». Tuttavia, ciò non significa opporre alla ricerca sul mondo naturale un fideismo che immunizzi una parte dell’esistenza dalle acquisizioni della scienza. «Al contrario, non ho mai sperimentato una contraddizione tra l’essere uno scienziato e credere nelle verità del cristianesimo, né difficoltà nel tenere insieme questi due ambiti. Piuttosto, può essere che le mie intuizioni scientifiche abbiano per qualche aspetto e in qualche misura influenzato le caratteristiche della mia fede. Ma ciò lo considero soprattutto un arricchimento». La teoria genetica che Arber è andato delineando in mezzo secolo di studi l’ha portato a ritenere che «la natura si prenda attivamente cura dell’evoluzione». Un’affermazione che, scorporata dal rigore dei dati molecolari, ha portato qualcuno a definirlo «un Nobel scettico su Darwin» e arruolarlo tra i sostenitori del cosiddetto "disegno intelligente". In particolare, l’avere scritto che «sebbene sia un biologo, devo confessare di non comprendere l’origine della vita» e che «la possibilità dell’esistenza di un creatore, di Dio, per me rappresenta una soluzione soddisfacente al problema» l’ha fatto arruolare tra i creazionisti anche in una controversia pubblica negli Stati Uniti. Tanto da dover precisare di aderire alla «teoria neo-darwiniana dell’evoluzione biologica, che ho contribuito a confermare e precisare a livello molecolare». E oggi tiene a ribadire, con la massima onestà intellettuale, senza timore di scontentare gli uni o gli altri, che «è un dato di fatto che la scienza, con i suoi mezzi, non possa né provare l’esistenza di Dio, né provare che Dio non esista».