Agorà

LE STORIE. Aquileia, nei mosaici il manifesto dei primi cristiani

Francesco Dal Mas domenica 20 marzo 2011
Aquileia, il fascino della Chiesa madre. Papa Benedetto le renderà omaggio il 7 maggio, per introdurre la visita a Venezia, incontrando le 53 Chiese che da Aquileia originarono. Percorrendo le strade di questo piccolo paese, al confine con la laguna di Grado, erede di una tra le più grandi metropoli dell’Impero di Roma, «si è posti fisicamente all’interno di una strepitosa metafora, capace di illuminare la sproporzione che insiste tra la ricchezza affidataci dal passato – su cui il nostro presente si fonda, anche materialmente –, e la capacità che abbiamo di riconoscere questo lascito, custodirlo e mantenerlo vivo». Ed è proprio questo il presupposto dal quale nasce il lavoro di Gabriele Pelizzari, dottore di ricerca all’Università di Padova e collaboratore di cattedra del professor Remo Cacitti all’Università di Milano: Il Pastore ad Aquileia. La trascrizione musiva della catechesi catecumenale nella cattedrale di Teodoro. Volume edito da "Glesie furlane Trois 4", con prefazione dello stesso Cacitti (della quale sotto riportiamo uno stralcio), e che è frutto di ben 10 anni di studi. Quando si parla di Aquileia e in particolare della sua basilica, la sintesi più frequente è che vi si trovi il mosaico più grande al mondo. Bene, Pelizzari dimostra che questi mosaici non sono un banale decoro, «una colorata e frivola compilazione di spazi sottratti al disgusto dell’horror vacui, ma una testimonianza... Meglio ancora – spiega – sono un manifesto, collettivo e unanime, della fede che animava la più antica comunità cristiana di Aquileia», Pelizzari non ha nessun dubbio: è nel Pastore di Erma che va cercata l’ispirazione dei mosaici teodoriani dell’aula Sud. «Il Pastore di Erma è uno dei testi più antichi del cristianesimo, catalogato tra i cosiddetti padri apostolici, e che può vantare una circolazione amplissima come strumento catechetico». Il legame di Erma con Aquileia è sempre stato molto dibattuto e Pelizzari propende per la sua origine aquileiese. Origine che consente di retrodatare la formazione di una Chiesa, in questa località, all’epoca un porto, dal II al III secolo. «Il "paradigma" storiografico attualmente in auge afferma che la Chiesa aquileiese (intendendo con ciò una comunità effettiva, non semplicemente la presenza ad Aquileia di singoli cristiani) si sia formata solo nel III secolo. A mio giudizio non è così. Se è vero infatti che nel II secolo due fratelli aquileiesi vengono a Roma e uno, Pio, diviene vescovo di quella importantissima Chiesa, mentre l’altro, Erma, scrive un testo che immediatamente guadagna un’eco così forte in tutto il bacino del Mediterraneo, significa che la comunità cristiana di loro provenienza, nell’ambito di rapporti tra Chiese sorelle, è tenuta in grande considerazione». Nel Pastore di Erma, dunque, va cercata l’ispirazione dei mosaici teodoriani dell’aula Sud della Basilica. E Pelizzari è convinto che questi mosaici predichino una grande storia della salvezza «a lieto fine, nel senso che non prevale su tutto la minaccia dell’inferno, ma la speranza della salvezza: di ciascuno, della Chiesa, e, aggiungerei, del cosmo creato. Resta la sconfitta delle tenebre, ma solo quale annuncio sconvolgente della potenza del Padre». I mosaici dell’aula sud erano divisi in due parti: quelli del quadratum populi, vale a dire l’area in cui stavano i fedeli e i catecumeni, e quelli del presbiterio, nel quale è raffigurato il ciclo di Giona. «Osservando il quadratum populi, emergono tre figure principali: l’Angelo della Penitenza, il Buon Pastore, che sta facendo ritorno nella casa del Padre, e infine una scena di pesca nella quale un’imbarcazione trascina una nassa: scena parzialmente perduta per la posa della lastra tombale del patriarca Bertoldo di Andechs». Queste tre figure sono i capisaldi del cammino di preparazione dei catecumeni al battesimo. Una novità dello studio di Pelizzari consiste proprio nel mettere in rapporto questi tre elementi, rispetto alle precedenti interpretazioni. «Vedendo, in una lezione del professor Cacitti, la proiezione del dettaglio dei mosaici, notai che il celebre episodio della lotta del gallo con la tartaruga era decentrato rispetto al tessuto geometrico del comparto. Così mi sono accorto che la triangolazione isoscele che metteva in relazione questa scena con il Buon Pastore e l’Angelo della Penitenza non aveva senso. Di lì la ricostruzione della scena della pesca come terzo vertice di un triangolo rettangolo, ricostruzione fatta sulla base delle parti rimaste: un’ala, la poppa di una nave e una nassa. Questa semplice connessione geometrica, però, non è che la "materializzazione" di un ben più articolato raccordo teologico». I mosaici aquileiesi testimoniano, dunque, non solo l’origine e l’incisività del cristianesimo in questi luoghi, ma anche tutta la sua dignità e originalità. «Attestano – puntualizza Pelizzari – un cristianesimo coraggioso, non compromesso, e lieto, fiducioso della salvezza». Il catecumeneo di Teodoro vescovo viene realizzato all’indomani delle persecuzioni: ad Aquileia si investe tutto ciò che viene restituito per volontà di Costantino alle comunità cristiane non in un edificio monumentale, all’esterno, ma nei mosaici, all’interno, per realizzare un manifesto teologico, disponibile per tutti, non solo a coloro che sapevano leggere. Ed è il manifesto della speranza. «Il cuore dell’annuncio dei cristiani di Aquileia non era quello di una prassi di vita, di una serie di leggi, ma l’annuncio della salvezza, proclamata con voce forte e chiara».