Come ho scritto la settimana scorsa, Miguel de Cervantes, mentre componeva
Don Chisciotte della Mancia, prese variamente spunto dall’opera di Apuleio intitolata
Le Metamorfosi. Pertanto non c’è da meravigliarsi se, appena pubblicato, il volume del celebre scrittore spagnolo diventò subito un best seller; ma non senza controversie a causa di alcuni episodi lascivi e volgari. Le
Metamorfosi, del resto, ebbero un destino molto simile. Sant’Agostino condannò infatti non solo
Le Metamorfosi, ma anche un’altra opera di Apuleio,
Il Dio di Socrate, in cui l’autore discute dell’esistenza e della natura dei «demoni», vettori «lungo la distanza fra terrestri e celesti, delle preghiere che vengono da quaggiù, così come dei doni che vengono da lassù», in quanto nelle due direzioni essi recano invocazioni e soccorsi (
De Deo Socratis, 6). Però «dei loro costumi – dice sant’Agostino – sebbene parlasse di tutti, in generale, [Apuleio] non ha detto niente bene, ma piuttosto parecchio di male». Perciò Agostino diffida i cristiani dal pensare che i demoni siano superiori agli uomini. Anzi, «come siamo più perfetti dei demoni perché ragioniamo e pensiamo, così vivendo moralmente dobbiamo essere più perfetti di loro» (
De civitate Dei, VIII). In questo rimprovero di Agostino verso Apuleio è facile riconoscere sia il nesso tra lettere classiche e cristiane, che il contrasto tra cristiani e pagani. Sebbene Agostino avesse respinto il paganesimo, faceva tuttavia riferimento alla letteratura pagana in quanto paradigmatica per tutti gli uomini eruditi e colti. La religione dei pagani servì come 'antagonista' verso di cui Agostino e gli altri dottori della Chiesa indirizzavano le loro critiche affinché la linea di demarcazione tra religione cristiana e pagana si scorgesse più chiaramente da tutt’e due le parti. «Giacché la familiarità genera disprezzo, la singolarità procura ammirazione», scrisse Apuleio nel medesimo
Il Dio di Socrate: un’affermazione che ci fa riflettere anche oggi. Se la nostra «familiarità» è con il sacro, la «singolarità» delle cose profane ci alletta. Al contrario se la nostra «familiarità» è con il profano, le cose sacre catturano la nostra attenzione. Perciò, se la fuga verso ciò che ci annoia induce ad ammirare qualcosa di nuovo, non c’è da stupirsi se infine l’insolito ci riporta a ciò che è più conosciuto. Dunque, se mi sono ben spiegato, capirete che è opportuno che leggiate sia le opere di Agostino che di Apuleio che di Cervantes. E con ciò, ho concluso.