Classica. Antonio Pappano: «Te Deum, un grido di speranza»
Antonio Pappano con l'Orchestra nazionale dell'Accademia di Santa Cecilia
«Un grido in do maggiore. Uno sfogo. Per dire che è una vittoria ripartire con la musica, ma anche per far sentire la nostra voce tra speranza e preoccupazione per il futuro». È questo (e anche molto altro) per Antonio Pappano il Te Deum di Anton Bruckner che venerdì al Parco della musica di Roma apre la nuova stagione sinfonica dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia. Il direttore italo-britannico (le sue origini sono a Benevento), guida stabile di Santa Cecilia dal 2005, avrebbe dovuto avere sul leggio I maestri cantori di Norimberga di Richard Wagner. «Ma la pandemia – spiega Pappano che salirà sul podio di orchestra e coro dell’Accademia – ci ha imposto di ridisegnare i programmi, tenendo conto del distanziamento tra i musicisti: la monumentale partitura wagneriana avrebbe chiesto un organico imponente, difficile da gestire. Spero, però, che il progetto sia solo rimandato: ci tengo molto a realizzarlo perché Mesistersinger è un’opera che celebra la bellezza del fare musica».
Intanto, maestro Pappano, celebrate questa bellezza, insieme alla ripartenza della musica dal vivo seppure tra molte incertezze e incognite, con il Te Deum di Anton Bruckner.
«Dopo questo periodo molto particolare che tutti abbiamo passato e che stiamo ancora vivendo ho scelto un Te Deum, una pagina che in genere si canta per celebrare un trionfo, una liberazione. Oggi sappiamo che la vittoria sul coronavirus non l’abbiamo ancora ottenuta, anzi. Ma la scelta della pagina di Bruckner vuole essere un segno di speranza, di fiducia nel futuro. Sono molto legato alla musica del compositore austriaco tanto da aver già diretto tre volte da quando sono a Santa Cecilia la sua Ottava sinfonia. Bruckner innerva la sua musica di una profonda spiritualità che in questo momento sento quanto mai necessaria per la mia vita: quando dirigo la sua musica mi ritrovo a pregare».
Per questo concerto inaugurale avrà sul leggio anche Gustav Mahler, un autore speculare a Bruckner: proporrà Das lied von der Erde.
«Non dirigevo Il canto della terra dal 2012 e iniziavo ad avvertirne la mancanza. Non so spieabbiamo garmi il perché, ma in questo periodo di lockdown mi chiamava, insisteva nell’affacciarsi alla mia mente. Così l’ho diretto a Londra in una versione per orchestra da camera e ora lo ripropongo a Santa Cecilia».
Perché pensa abbia bussato alla sua mente proprio ora?
«Mi colpisce come Mahler in questo ciclo di lied canti la morte, non lo fa con un sentimen- to di rassegnazione, ma accettando al fine in modo molto sereno, come un fatto della vita. Ascoltando alcune pagine del ciclo sui testi di Hans Bethge il pensiero va al paradiso che qui viene raccontato come un posto che illumina la nostra vita, prospettiva che ci dà una speranza. Das lied von der Erdeè una metafora del nostro mondo»
Il canto della terra racconta le stagioni, la giovinezza e la vecchiaia, la gioia e il dolore. Racconta al natura che in questi mesi ci sta dando un segnale…
«Questa è una musica che ha una forte legame con la natura, quella che continuamente papa Francesco ci invita a rispettare. Lo avverto quando dirigo il Titanodi Mahler, oppure la Pastorale di Beethoven o certe pagine di Schumann e di Brahms che danno la sensazione di essere all’aperto, di respirare aria. Cosa di cui in questo momento sento un grande bisogno. E sono convinto che come me anche il pubblico provi questo. L’ho sperimentato nei concerti che fatto in questi mesi, una prova generale della nostra stagione durante la quale abbiamo risentito quel calore che musicisti e ascoltatori si scambiano durante i concerti».
Come ha vissuto questi mesi lontano dalla musica?
«In realtà non sono mai stato senza fare musica. Ho studiato, ho sempre suonato e ho trovato un’altra modalità di comunicazione soprattutto con i video realizzati per il Covent Garden di Londra. Lì la situazione è ancora peggiore di quella che c’è in Italia: in Gran Bretagna sono stati fatti tanti sbagli e il settore della cultura sta pagando colpe che non ha. Quello che mi è davvero pesato durante questo periodo è stato stare lontano dalla mia orchestra, dai miei musicisti di Santa Cecilia: immaginavo la loro sofferenza per non potersi esprimere suonando e per la grande incertezza economica in cui questa situazione ci ha gettato».
E cosa l’ha aiutata a tenere duro?
«Il sapere che prima o poi ci saremmo ritrovati. E mi hanno confortato i messaggi del pubblico, le richieste di tornare presto a fare musica, una gioia perché dice che come artisti siamo necessari per il mondo. Il pubblico ci ha fatto capire di avere sete di musica e questo ci ha dato conforto e anche una sicurezza per il futuro perché questo desiderio non si spegnerà mai».
In questi giorni, però, con la risalita dei contagi c’è una grande incertezza sul futuro dei teatri. Che appello si sente di fare alla politica?
«Ci sono timori e paure, inutile negarlo, soprattutto per il fatto che si possa tornare al limite di 200 presenze in teatro: sarebbe una catastrofe. Ma il ministro della Cultura Franceschini ha assicurato che questo non accadrà. Quello che chiedo ai politici è di avere fiducia nel nostro settore dove la disciplina non è mai venuta meno e dove il rispetto per i protocolli è stato sempre scrupoloso tanto è vero che nessuno si è ammalato venendo ad ascoltare un concerto. La musica è un laboratorio di poesia di bellezza, un posto sicuro dove stare al sicuro».
Il maestro Antonio Pappano aprirà domani con il “Te Deum” di Bruckner la nuova stagione sinfonica dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia a Roma