Musica. Macbeth, l'anteprima in un giovane palco della Scala
«Grande Anna!». Marco si sta infilando il cappotto. Ma per un attimo si ferma. Una manica sì e una no. Applaude come riesce. Stregato da quello che accade sulla ribalta dove Anna, Anna Netrebko, manda il suo «I love you» alla platea: pollice, indice e mignolo della mano destra alzati, a imitare l’emoticon che sintetizza il «ti voglio bene» sulla tastiera dei cellulari. Poi alza la gamba e scompare dietro il sipario. Da dove esce Luca, «il Luca Salsi» si illumina Giulia mentre il baritono si inginocchia, bacia la mano e la batte forte sulle assi del palcoscenico facendo salire l’applausometro. «Lui sì che è un grande» dice Giulia, sottolineando la frase con un sorriso che rivolge al “suo” Marco che intanto finisce di infilarsi il cappotto. «Dobbiamo andare a riprendere il treno per Piacenza» dicono i ragazzi – 26 anni Marco, quasi 24 Giulia – mentre, prendendosi per mano, escono dalla platea del Teatro alla Scala.
Dove continuano gli applausi, andati avanti per più di dieci minuti al termine della Primina di sabato 4 dicembre, l’Anteprima riservata ai ragazzi con meno i trent’anni del titolo che il 7 dicembre inaugura la stagione del Piermarini.«Quest’anno è Macbeth di Giuseppe Verdi, la mia opera preferita» racconta Tommaso, 28 anni, entrando nel suo palchetto per il quale si è accaparrato un posto «con un colpo di fortuna» l’11 novembre quando sono stati messi in vendita i duemila biglietti tra platea, palchi e gallerie. «Tempo un quarto d’ora e non c’era più un posto, tanto che alcuni amici sono rimasti senza biglietto. Gli racconterò io» dice mentre scatta una foto della sala che subito posta sul gruppo Whatsapp. Foto da postare subito su Instagram anche per tre ragazze in abito lungo rosso, nel foyer. La locandina in mano a cercare i nomi degli interpreti per taggarli nelle storie. «Il protagonista quello che fa Macbeth è @lucabaritono. L’account di lei che fa la Lady è @anna_netrebko_yusi_thiago. E poi metti anche la Scala magari ci ripostano».
Molti gli abiti eleganti. «Forse anche troppo, rispetto allo spirito con cui era nata la Primina nel 2008. Allora c’erano più jeans e maglioni, ragazzi più sportivi. Oggi molti abiti da sera, tanto che sembra una sorta di “prova generale” dei ragazzi per il 7 dicembre mondano dei vip» riflette qualcuno che c’era anche tredici anni fa, quando in scena c’era Don Carlo diretto da Daniele Gatti.Quest’anno tocca ancora a Verdi. La bacchetta è quella di Riccardo Chailly, direttore musicale della Scala. «Mi piace sempre molto come dirige. Sono sicuro che non mi deluderà nemmeno quest’anno» dice Pietro, studente di Economia, alla sua quarta Primina «dopo Andrea Chenier, Attila e Tosca. Poteva essere la quinta, ma il Covid lo scorso anno ci ha bloccati, così mi sono visto il gala A riveder le stelle in tv, seduto sul divano, camicia bianca e papillon, per rispettare il rito». Il papillon lo ha anche quest’anno, sotto una giacca nera molto elegante.
«Sono bellissimi. Vestiti a festa» commenta il sovrintendente Dominique Meyer mentre li guarda e una ragazza, davanti alla porta di ingresso, si toglie le ballerine, le infila in borsa e si mette un paio di scarpe con il tacco. Poi si sottopone, paziente, alla trafila dei controlli: prima il green pass, poi la temperatura, infine il biglietto. Tutto racchiuso nello schermo del cellulare. Capiterà così anche il 7 dicembre, quando sarà in vigore il super green pass. «Stiamo già aggiornando le app che consentiranno di far entrare in teatro chi è vaccinato o guarito dal Covid» anticipa Meyer alla sua prima Anteprima, soddisfatto della «vita che riparte. Ed è bello che lo faccia con i giovani. Si inizia da qui» dice mentre qualcuno lo riconosce, lo saluta, gli racconta la sua passione per la musica. «Studio in Conservatorio» spiega Riccardo. «Chissà che abbiamo qui un futuro sovrintendente» sorride Meyer.«Accesso consentito» dice il termoscanner che rileva la temperatura. Non sanno bene la lingua, ma capiscono che possono entrare Zaid e Anders, uno medico, l’altro funzionario pubblico, giovani melomani, abituati a girare il mondo per ascoltare musica, e arrivati a Milano dalla Norvegia appoggiandosi all’associazione Juvenilia.
Le luci nel foyer si abbassano, le maschere invitano chi ancora si sta scattando un selfie davanti allo specchio ad entrare. Buio. Chailly sale sul podio. Inizia la musica di Verdi. Si apre il sipario. Un’auto con Macbeth e Banco corre tra i grattacieli di una metropoli proiettati sul grande ledwall che si riempie dei video di D-Wok.«Un inizio di grande impatto» dice Samuele nell’intervallo, dopo gli ottanta abbondanti minuti della prima parte dello spettacolo che tiene insieme il primo e il secondo atto dell’opera verdiana ispirata a Shakespeare. Samuele, 22 anni, studia lettere. «Conoscevo il testo teatrale di Shakespeare, me lo sono riletto nelle scorse sere ascoltando la musica di Verdi. E devo dire che mi piace come il regista, pur portando le vicende in un futuro immaginario, racconta i fatti» dice Samuele a cui è particolarmente piaciuta la scenografia di Giò Forma, ispirata alle architetture milanesi (mai realizzate) di Pietro Portaluppi, ma anche ai loft newyorkesi. «Geniali le proiezioni!» interviene Angelo, architetto.
Invece Valentina, che alla Scala ha già visto Attila e Tosca e che ha un abbonamento Under30, dice che «un po’ mi aspettavo questo immaginario dalla regia di Livermore. Sembra una serie tv di quelle che vediamo oggi» riflette la studentessa di Medicina, 24 anni che apprezza «l’eleganza in bianco e nero» dei costumi di Gianluca Falaschi.Un bicchiere di spumante. Qualcuno esce per togliere un attimo la mascherina e prendere una boccata d’aria. L’intervallo passa in fretta. «Hai visto il tenore che fa Macduff? È Francesco Meli, che due anni fa era Cavaradossi in Tosca» chiede Mario alla fidanzata Sara. «Peccato che nella seconda parte non ci sarà più Ildar Abdarazakov, lo hanno ucciso nel secondo atto» dice rientrando in platea quasi mesta Paola che ricorda la prestanza del basso in Attila.
Di nuovo buio. Riparte la musica. E c’è una sorpresa per Paola. Perché Livermore immagina le danze del terzo atto come una pantomima nella quale intervengono anche i protagonisti Ildar/Banco compreso.Ancora settanta minuti di musica. Le streghe, le apparizioni. Poi la scena del sonnambulismo della Lady. La morte di Macbeth. Il finale. «Preceduto dal magnifico coro Patria oppressa dove gli scaligeri danno il meglio» commenta Olmo mentre nel suo palco scatta una foto degli interpreti alla ribalta per gli applausi finali. Voci promosse. «Regia e scenografia mi lasciano, però, qualche dubbio, mi sembra che non abbiano saputo esaltare i contrasti che emergono dai due mondi raccontati nell’opera, quello fantastico-demoniaco e quello reale» riflette Olmo, 25 anni, diplomato in violino in Conservatorio, insegnante di musica al quale le danze del terzo atto firmato da Daniel Ezralow hanno ricordato «un po’ le coreografie di certi talent tv».
Troppe proiezioni «rischiano di far girare la testa» interviene Thomas.Tutti d’accordo, invece, sulla parte musicale. «La direzione di Chailly è bellissima. Anna è straordinaria. Tutti, Salsi, Meli, Abdrazakov sono straordinari» commenta Alessandro, 29 anni, medico specializzando in psichiatria «incuriosito da come il tema della follia omicida venga messo in musica da Verdi nell’Ottocento e prima ancora in un testo teatrale da Shakespeare». Dal 2013 non si è (quasi) mai perso un’Anteprima, «ho bucato solo Giovanna d’Arco nel 2015» racconta Alessandro, melomane che gira l’Europa per ascoltare i grandi titoli e le grandi voci: «Settimana prossima sono a Berlino, poi torno a Milano per il gala dell’Accademia e per due repliche di Macbeth per le quali ho già comprato i biglietti». Il tempo di una foto al foyer pieno di ragazzi. Poi a cena.