Se l’antica passione di assistere gli ammalati si è elevata a dignità professionale nella persona di tanti benemeriti infermieri e infermiere, il merito è di una donna che fino a cento anni fa ha "illuminato" il volto di tanti ammalati con il suo amore cristiano e la sua precisione lavorativa. Il 13 agosto, infatti, sarà il centenario della morte di Florence Nightingale (spirò nel sonno), la fondatrice della prima scuola per preparare future infermiere, chiamata "la signora della lampada" perché visitava i suoi pazienti armata di un lume: questa immagine è rimasta famosa tanto che compare sulla banconota da dieci sterline. Una donna da primato, la Nightingale, se è vero che è stata la prima femmina a ricevere il premio Freedom della città di Londra nel 1909, la prima ad ottenere l’Ordine del Merito nel 1907 (il premio civile di maggior importanza in Gran Bretagna), la prima membra della Statistical Society (1860) per meriti sul campo. Ora che il calendario ricorda la figura di questa donna, cristiana anglicana convinta, che scelse i malati dopo aver avuto «sentito una Voce» che la chiamava a questo nel 1837 all’età di diciassette anni (era nata a Firenze, dove i suoi genitori si erano fermati in una lunga e italica luna di miele), vengono alla luce particolari interessanti sulla prima scuola per infermiere, quella aperta al St. Thomas Infirmary di Londra nel 1860. Infatti, dietro a questa benemerita istituzione vi è un antecedente… italiano e cattolico, che ha il suo clou in un gruppo di religiose italiane, suore di San Vincenzo de’ Paoli. È a loro che la Nightingale fece un grande riconoscimento di stima nella prefazione a
Notes of nursing, il suo manuale per le aspiranti infermiere, tradotto in italiano a Nizza nel 1860: «La mia opinione, formata sopra un’esperienza personale, è che la donna italiana è dotata di attitudine speciale all’assistenza degli ammalati. Derivo questa opinione dal’aver veduto all’opera le suore italiane di San Vincenzo de’ Paoli, attaccate alle truppe sarde in Crimea. La superiora delle suore italiane in Crimea è una delle donne più distinte che io abbia mai incontrato nella nostra vocazione». Ad evidenziare questo legame tra la Nightingale e le suore vincenziane oggi è monsignor Giorgio Colombo, da vent’anni cappellano all’ospedale Buzzi di Milano dopo esserlo stato per trent’anni al Policlinico milanese. Colombo ha portato avanti una ricerca a metà strada tra l’archivistica e l’arte: ha visionato il quadro di Gerolamo Induno
La battaglia della Cernaia (1857), dove il pittore di Brera era stato soldato in qualità di bersagliere agli ordini del generale Alfonso La Marmora. In questo quadro, custodito nella sede della fondazione Cariplo di Milano, si vede appunto uno scorcio di una fase della guerra in Crimea e, in secondo piano, alcune suore che si prendono cura dei feriti. Monsignor Colombo ha rintracciato l’originale di un dispaccio del ministero della Guerra (il n° 9628 del 17 dicembre 1855) firmato dal ministro Durando che attesta quanto segue: «Miss Nightingale visitò gli ospedali piemontesi al Bosforo e molto ammirò l’impianto loro. Fu essa nei migliori termini con le suore, delle quali conservò alta considerazione». La Crimea dunque fu il crogiolo in cui la Nightingale trasse l’ispirazione per fondare le sue scuole infermieristica, con un singolare apporto cattolico. In Oriente, precisamente a Scutari, sobborgo dell’antica Bisanzio, la Signora della lampada ci era arrivata su esplicita richiesta del ministro della Guerra inglese, Sidney Herbert, allarmato per i resoconti degli inviati di guerra dei grandi quotidiani londinesi sulle morti di massa dei militari a causa dell’incuria sanitaria. La Miss partì con trentotto infermiere volontarie «di cui dieci suore cattoliche, quattordici laiche e quattordici diaconesse anglicane», precisa monsignor Colombo. Nel frattempo, a fianco del contingente piemontese, si erano aggregate sessanta suore italiane, proprio quelle che la Nightingale lodò in seguito. Merita una menzione suor Elena Cordero de’ Vonzo, nata a Mondovì nel 1816, religiosa dal ’42, infermiera a Racconigi, Nizza, Siena e, dopo l’esperienza a Costantinopoli – dove venivano portati in nave i feriti della guerra di Crimea –, fu in servizio alla Casa di misericordia di San Massimo a Torino. Di quelle religiose (tra le quali vi erano tra le altre anche suor Banviet e suor Cianchi), partite nel 1855, tre morirono in servizio a fianco dei soldati. Militari che, si noti, cadevano in gran parte non per motivi bellici bensì sanitari: in duemila perirono per malattia, solo ventidue in combattimento. E per ricordare la Nightingale un gruppo di infermieri e infermiere hanno dato vita all’ospedale Buzzi a un comitato apposito per il centenario e nei prossimi giorni si recheranno a Londra, dove ha riaperto da poco i battenti, ristrutturato per l’occasione centenaria, il Florence Nightingale Museum dedicato appunto all’"angelo degli ammalati".