Musica. Angelo Branduardi: «Il mio san Francesco, poeta del Vangelo»
Il cantautore Angelo Branduardi
Angelo Branduardi ritrova il suo Francesco. In occasione della festività del Santo di Assisi esce infatti venerdì 4 ottobre la riedizione del celeberrimo disco L’infinitamente piccolo. Un lavoro che nell’anno giubilare 2000, quando venne pubblicato, ebbe uno straordinario successo, seguito da un lunghissimo tour in Italia e in mezza Europa che totalizzò nel tempo oltre trecento concerti. Ma per il 74enne menestrello di Cuggiono ricorrono anche i 50 anni di carriera che culmineranno a novembre nell’uscita di un cofanetto di 50 brani in cinque dischi: quattro di musica pop e il quinto con il meglio degli otto album Futuro Antico pubblicati tra il 1996 e il 2014. «Cinquant’anni di carriera, ma in realtà sarebbero di più - precisa Branduardi dal suo “buen retiro” di Bedero Valcuvia, in provincia di Varese -, perché i primi dischi sono stati buttati via. Avevo brani, alcuni sono poi diventati dei successi, e un album intero già pronto che si intitolava Confessioni di un malandrino, titolo poi inserito nel mio secondo album La luna».
Perché non se ne fece niente, cosa successe?
«In quei primi anni 70 la Rca italiana, guidata da Ennio Melis, era una casa discografica che dava fiducia alle novità e agli artisti emergenti. Eppure nel mio caso non successe così. Melis era bravissimo, ha lanciato un sacco di cantanti e ha inventato la scuola romana e i cantautori. Io però non gli andavo a genio. Così sono dovuto letteralmente fuggire, facendomi anche fare causa. Ricordo che Melis ascoltando il provino di Alla fiera dell’est, liberamente ispirato a un canto ebraico, quando arrivò al topolino si mise a ridere e spense. Poi quel brano è diventato due anni dopo un successo internazionale. Anche i migliori discografici non sempre ci azzeccano».
E come riuscì a farlo poi pubblicare?
«Io e David Zard siamo stati in giro un anno a bussare alle porte delle case discografiche perché non lo voleva nessuno, finché la PolyGram nella persona di Alain Trossard, l’allora presidente, a cui devo tutto, disse: “Questa canzone o sarà un enorme fiasco o un enorme successo”. Ci beccò. Era una canzone violentissima, feroce, in cui è presente l’angelo della morte. Ma piacque, soprattutto molto ai bambini, che non concepiscono la morte».
Per il mezzo secolo di carriera ha appena ripubblicato in elegante vinile i suoi successi degli anni 70 Alla fiera dell’est, La pulce d’acqua e Cogli la prima mela.
«E adesso esco con L’infinitamente piccolo in edizione super elegante, con due dischi in vinile. Uno in italiano e uno con dieci versioni inedite in inglese e francese, lingue in cui l’avevo registrato già allora. E’ una pubblicazione da collezionisti, in 500 copie (distribuita da Universal Music, ndr). Anche questo è un disco che ai tempi nessuno voleva. Un lavoro che a me è però molto caro».
Un’altra scommessa vinta?
«Sì, soprattutto anche dal vivo. Ricordo che alla prima del tour al teatro Smeraldo di Milano, che adesso non c’è più, l’impresario fece una provocatoria previsione: se ci saranno quattro spettatori sarà tanto. Invece era strapieno, con gente rimasta fuori. Ma tutto il tour fu strepitoso, in Italia e in mezza Europa. Sono abbonato alle cose che nessuno vuole pubblicare e dopo invece funzionano. Ma io sono così: o la mia musica piace tantissimo o non piace affatto. Ho sempre corso da solo, sono sempre stato fuori dal coro. In qualche modo rappresento un genere a sé stante. Non faccio parte di scuole e non ne ho fondate. Ho una maniera di fare musica molto diversa da quella che gira intorno».
Franco Battiato, con cui ne L’infinitamente piccolo duettò in un brano, desiderava che di lui rimanesse un suono. Vorrebbe lo stesso?
«Piacerebbe anche a me, è un accostamento che mi lusinga molto. Gli avevo chiesto di partecipare al disco perché sono molti gli aspetti che ci univano. In genere abbiamo considerato la musica nello stesso modo, a partire dalla spiritualità. Ennio Morricone, con cui ho fatto dei concerti e che è anch’egli presente nel disco su san Francesco con un Salmo da lui composto appositamente, un giorno disse una frase geniale: essendo la musica l’arte più astratta, è la più vicina all’assoluto. Se l’avessi detto io sarei felicissimo. Ovviamente sottoscrivo in pieno».
Chi è stato per lei san Francesco?
«Intanto non era “il giullare di Dio” come lo definì non proprio felicemente Roberto Rossellini. Francesco d’Assisi è, oggi più che mai, Santo. Ma è stato anche grande poeta. Amava cantare e lo faceva spesso, anche da solo. Per accompagnare il suo Cantico delle Creature, Francesco compose una musica che è andata perduta. Io ho provato a ridare voce alle sue parole perché si possa di nuovo cantarle. Questo è il motivo che mi ha spinto a musicare brani dei suoi scritti ed episodi della sua vita tratti da mia moglie Luisa Zappa dalle Fonti Francescane. Questo è: Francesco era poeta, amava cantare ed era Santo. E’ stato il primo poeta della nascente letteratura italiana. Dante Alighieri viene un secolo dopo».
Quando decise di cantarne la figura, pensò più a celebrarlo o ad attualizzarlo?
«La vita di san Francesco d’Assisi è quella di un uomo che diventa Santo e lui è un vero Santo: esemplare ed eccezionale, totalmente cristiano nella sua scelta di vivere integralmente il Vangelo. Tuttavia non smette di essere un uomo. Francesco è un uomo (e quindi un Santo) che sceglie la gioia di vivere, la raccomanda ai suoi discepoli, ama la povertà “mai disgiunta dalla letizia”. Questo, di Francesco, mi affascina: il suo essere solare, la sua energia vitale, che lo rendono così lontano dai volti tristi ed esaltati della spiritualità monastica e straordinariamente vigorosa, più che mai viva nel contesto delle passioni e dei problemi contemporanei: la povertà, la malattia, l’emarginazione, l’ecologia, l’atteggiamento di fronte “all’altro”, la guerra».
Un messaggio di speranza per oggi?
«Oggi sperare non è facile. Ma io esco con questa riedizione del mio disco su san Francesco che la speranza la spandeva e festeggio 50 anni di carriera. Quel mio primo disco del 1974 si apriva con il brano Re di speranza. Forse non un granché, ma si intravedeva il futuro. Ci sono parecchi giovani, anche ventenni, che vengono a sentire i miei concerti. La musica qualcosa può fare nel dare speranza. E nella musica c’è spazio per tutti. Certo, provo fastidio per certo rap e per la trap misogina e omofoba. Ma per fortuna chi vuole può ascoltare cose diverse o superiori».