La squadra più televisiva d’Italia si è mutata in reality. La teoria è di uno che la conosce bene, questa squadra e questa società, si chiama Carlo Ancelotti, fa l’allenatore e si sente al centro di qualcosa che assomiglia tanto allo show che ha fatto la fortuna delle tv di famiglia. «A volte mi sembra di vivere nel Grande Fratello», ha detto. Testuale. L’ha detto perché in nomination c’è lui, stavolta, l’eliminazione dalla Casa- Milanello è una possibilità e il problema è che qui, rispetto alla finzione catodica, non ci sono i coinquilini (tradotto: i giocatori, compatti -o quasi- nel sostenere l’allenatore) o i telespettatori (pardon, i tifosi) che lo possono salvare a scapito di qualcun altro. Qui il televoto lo effettua uno solo, Silvio Berlusconi. E la telefonata o l’sms che comunicasse direttamente un no, una manto tesa, una distanza da quelle presunte esternazioni egiziane non è arrivata. «Credo sia inutile aspettare una sua chiamata - ha sussurrato Ancelotti aggrappandosi alla diplomazia - perché la smentita di giovedì è stata abbastanza decisa. E io credo alle parole di Berlusconi». E non ci saranno incontri, la domenica del faccia a faccia, a quanto pare, è rinviata a data da destinarsi, se mai ci sarà. L’agenda di mister Carletto prevede una festa importante («Sarò da mio padre, è il suo compleanno») che può essere immediatamente preceduta da un’altra, da tenere stanotte tra a Udine dove i rossoneri scendono in campo e Milano: da celebrare, il sospirato, fondamentale ritorno in Champions. Senza aspettare, perché, come ricorda Ancelotti «non vogliamo arrivare alla gara contro la Fiorentina con l’acqua alla gola». Anche perché quel 31 maggio è già in programma una finale: quella del Grande Fratello Rossonero, appunto. «È una scadenza vicina per tutti e ci arriveremo in fretta», ha sancito a mezza bocca il “nominato” Ance-lotti, che qualcuno vuole sfavorito rispetto a uno che, a sua volta, la Casa la conosce bene. È Marco Van Basten, indicato dai soliti bene informati, come la nuova voglia matta di Silvio Berlusconi, da troppo tempo desideroso di imprimere il suo marchio anche sulla panchina. È infatti dai tempi del ritorno da Madrid di Fabio Capello che il timoniere non è scelto direttamente dal comandante. Correva l’anno 1997, sono passati 12 anni: troppi per uno come Berlusconi. Indizi che, sommate alle parole, pendono impietosamente sulla testa di Carlo Ancelotti, pressato tra l’altro anche da un “countdown” scandito da Londra: le porte del Chelsea sono ancora aperte, ma a metà maggio i tempi dell’attesa si sono forzatamente ridotti. A sentire lui, sono tutte chiacchiere: «Non c’è nessuna vicenda Chelsea-Milan - insiste - si lavora molto di fantasia, credo sia grottesco pensare che io possa fare una campagna acquisti per una società a cui non sono legato ». Un dubbio, maligno come sa essere il Grande Fratello: ma nell’ultima frase stava parlando del Milan? A Londra sono sicuri che arriverà, ma il tecnico rossonero smentisce: «Sul mio futuro si lavora di fantasia. Oggi il mio sì al Chelsea? Oggi per me c’è l’Udinese...». Intanto Berlusconi sogna Van Basten a Milanello