«Dice che era un bell’uomo e veniva, / veniva dal mare. / Parlava un’altra lingua, / però sapeva amare…». Quante volte abbiamo sentito
4 marzo 1943 di Lucio Dalla? Poche, però, l’abbiamo ascoltata o cantata come una canzone sull’immigrazione. Eppure, quell’uomo che veniva dal mare potrebbe essere uno dei tanti che ancora oggi sbarcano sulle nostre coste. Cosa che anche gli italiani, a loro volta e a suo tempo, hanno fatto. Chi non ha sentito, anche tra i più giovani, rammentare
Mamma mia dammi cento lire, la canzone più famosa dell’emigrazione italiana? Quelle cento lire servivano per andare in America. Ma ci sono anche le canzoni del ritorno o i canti struggenti di chi si reca in luoghi malsani e per questo amari come la Maremma di una volta («l’uccello che ci va perde la penna / e ’l giovan che ci va perde la dama»).A ricostruire la storia dell’emigrazione attraverso la canzone è ora Eugenio Marino con il libro
Andarsene sognando (Cosmo Iannone Editore), presentato ieri a Firenze nella sede della "Dante Alighieri" con gli interventi di Alessandro Masi, segretario generale della Società, il fumettista Sergio Staino, che firma il disegno di copertina, e Francescomaria Tedesco, filosofo politico della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, autore della postfazione.«Quello dell’emigrazione – spiega Marino – è un filone importante che percorre trasversalmente la storia della canzone italiana intrecciandosi ai diversi repertori e tradizioni stilistiche e musicali, senza una specifica unità formale». È il genere che probabilmente più della letteratura, della storiografia e della politica ha trattato il grande esodo italiano: «Lo ha fatto con sensibilità culturali molto diverse, che vanno dalle canzoni di denuncia a quelle in cui si minimizza, nasconde, o mistifica il fenomeno. Con versi dal linguaggio ricercato, che affonda le radici nella tradizione classica italiana, o altri sperimentali, di rottura».In 390 pagine, l’autore ci propone «un viaggio che parte dalle più celebri e vecchie canzoni, quelle dai toni più marcatamente melodrammatici –
Lacreme napuletane,
Miniera,
Torna a Surriento,
Partono i bastimenti – per arrivare a quelle dei grandi cantautori contemporanei attraverso i cui testi è possibile ricostruire un itinerario, lungo e doloroso, che ha portato la nostra gente a disperdersi in tutto il mondo, e che oggi ha solo invertito la propria direzione, portando in Italia migliaia di migranti mossi dalla stessa disperazione dei nostri nonni».Nella sua ricerca, Marino (che è calabrese d’origine, romano d’adozione, e responsabile nazionale del Partito democratico per gli italiani nel mondo) concentra l’attenzione sui testi, valutandone contenuti, contesti, poeticità e stili, sottolineando le trasformazioni sociali, musicali e linguistiche, gli influssi e le tradizioni, evidenziando ciò che lega il mondo della canzone a quello dell’emigrazione, ma anche, nell’ultima parte, dell’immigrazione.Si va pertanto dall’ironia di Renato Carosone a Domenico Modugno, dall’impegno politico di De Gregori alla "scuola genovese", alla profondità di De André o Guccini, fino a Caparezza, passando per Rino Gaetano, Fossati e tanti altri.Interessante la "lettura" di
Ciao amore, ciao di Luigi Tenco non solo come «bellissimo motivo d’amore», ma anche come «lucida canzone d’analisi sullo spopolarsi dei piccoli centri, sul senso di smarrimento degli emigranti e sull’incontro-scontro tra civiltà contadina e industriale». Il cantautore piemontese, dovendo lasciare la casa dell’infanzia a Ricaldone per trasferirsi a Genova, si sentì un emigrato, tanto che nella sua ultima canzone, il personaggio che emigra fa cenno a un cortile: è quello dove Tenco giocava da bambino.Sfogliando il libro si scoprono anche tante curiosità o canzoni dimenticate come
Le formiche del duo Battisti/Mogol, che pur parlando degli spostamenti delle grandi masse migratorie su scala globale, resta ancorata alla tradizione italiana della canzone amore e cuore. Venne cantata da Wilma Goich per le edizioni Ricordi nel 1968 e reincisa con la voce di Battisti, postuma e come inedito, nel 2004.Passando ad altro genere, in omaggio alla presentazione del volume, ieri, in pieno centro storico, a due passi dalla Santissima Annunziata, non si può che chiudere con Odoardo Spadaro e la sua
Porta un bacione a Firenze, del 1938, «che i fiorentini – racconta Marino – cantarono anche al suo funerale nel 1965. I contenuti sono quelli del solito ritorno in patria, raccontato attraverso il dialogo di una ragazza, figlia di emigrante, che spera di tornare a Firenze e un anziano che, al contrario, dopo lunghi anni vede il suo sogno farsi realtà: «Partivo una mattina co’i’ vapore / e una bella bambina gli arrivò. / Vedendomi la fa: Scusi signore! / Perdoni, l’e di’ ffiore, sì lo so. / Lei torna a casa lieto, ben lo vedo / ed un favore piccolo qui chiedo. / La porti un bacione a Firenze, / che l’è la mia citta / che in cuore ho sempre qui. / … Son figlia d’emigrante, / per questo son distante, / lavoro perché un giorno a casa tornerò…».