Agorà

Il personaggio. Alfredo Paglione: non è arte se tradisce la storia

Giovanni Gazzaneo giovedì 3 marzo 2016
Il coraggio è l’uomo che sa guardare oltre. La passione è l’amore che mette le ali alla vita. Alfredo Paglione, che oggi compie 80 anni, è coraggioso e appassionato. Lo è stato da gallerista, oggi lo è da mecenate. «La mia vita è stata una continua ricerca di opere d’arte che appagassero la sete di bellezza e verità. Il 20 dicembre 1963 inauguro la “Galleria 32” a Milano, nel giugno 2000 termino la mia attività di gallerista. In quell’ultimo anno realizzo quattro mostre dedicate all’“Elogio della bellezza”, la stella cometa del mio cammino». Duecento artisti sono stati ospiti nelle sue gallerie: da Sassu a de Chirico e Guttuso, da Picasso a Marino, da Vangi a Manzù e Moore, da Ortega a Rauschenberg. «Trovo che l’artista sia un essere straordinario: grazie alla sua creatività è quasi un tramite tra l’umano e il divino, che ci sovrasta e insieme abita dentro di noi. L’artista dà colore e forma al mistero e alla bellezza della vita». Ha saputo dialogare, e creare legami di amicizia, con grandi personalità del mondo letterario e poetico come Quasimodo, ospite fisso alle vernici della “Trentadue”, come Sciascia, che faceva sempre sosta in galleria nelle sue camminate quotidiane per le strade di Brera, e poi Testori, Rafael Alberti e Raffaele Carrieri ed Enzo Fabiani, suoi carissimi amici; con storici e critici d’arte come Carluccio, Jean Clair, De Micheli, Fagiolo dell’Arco, Bruno. Ha dato fiducia a chi, come Goldin, Pontiggia e Sgarbi, era all’inizio del suo percorso di curatore. La “Trentadue” è stata luogo di incontro tra le arti e, con la moglie Teresita, violoncellista colombiana, ha promosso tante iniziative nel mondo della musica e della poesia. «La mia è una battaglia ideale contro l’avanzare della barbarie nel mondo delle arti e della cultura, contro quei movimenti e quei mercanti che consapevolmente volevano e vogliono distruggere la creatività nell’arte e annichilire gli artisti per ridurli a marionette facili da gestire. Sono quei potentati che, a partire dagli Stati Uniti, hanno voluto imporre modelli egemonizzanti che nulla hanno a che fare con la bellezza, ma tanto con il business. In fondo la Pop Art non è stata anche un omaggio al consumo e al mondo della pubblicità? Attraverso questi modelli hanno colonizzato il nostro Paese e l’Europa e così abbiamo perso le nostre radici, a partire dalla nostra lingua. Penso per esempio al bel canto italiano: le nostre radio l’hanno dimenticato, ci offrono quasi esclusivamente musica anglosassone». Paglione si è opposto con coraggio alla prima vera globalizzazione, quella culturale, che voleva il dominio esclusivo dei nipoti e dei pronipoti delle avanguardie. Paglione ha promosso chi, consapevole che il moderno non nasce dal tradimento della propria storia, continuava la grande tradizione italiana del disegno e della pittura. «Passato e futuro, tradizione e modernità, ispirazione e mestiere, realtà e fantasia, materia e spirito: questa dualità l’ho vissuta come una dimensione sempre presente nella mia vita e nell’operare artistico. Solo quando i due poli s’incontrano allora si determina la vera opera d’arte, il capolavoro che sfida il tempo». Paglione è consapevole che una società senza memoria produce bellezza effimera oppure la deride, l’abbandona, la violenta, e allora il brutto regna sovrano e riduce l’arte a merce di scambio. E ha saputo testimoniare che una bellezza autentica invece è ancora possibile. Questo l’orizzonte in cui si colloca il suo mecenatismo, che parte da lontano. È accanto a monsignor Pasquale Macchi, segretario di Paolo VI, e a Dandolo Bellini nella creazione della Collezione d’Arte moderna dei Musei Vaticani, donando opere e sostenendo la donazione da parte di grandi maestri. La prima radice del suo mecenatismo parte dalla fede forte e serena della sua famiglia, quella del padre Ottavio e della mamma Maria Cristina che muore quando Alfredo ha due anni, quella delle due sorelle e del fratello che scelgono la vita religiosa. Origini umili le sue, ma in un contesto di grande dignità e speranza operosa. «La mia vita è stata un cammino, un continuo salire verso la cima. Come quando da bambino tornavo da Chieti a Tornareccio, il paese natale, per le vacanze estive, e salivo ai pascoli con le pecore degli zii e uno zaino pieno di libri». E «il pastore che ha scalato il grattacielo» lo definiva il poeta Fabiani. In questo orizzonte nasce la sua generosità e la sua sete di conoscenza. Che si riflette nel sapore antico del suo mecenatismo, il sapore delle sue terre dove le vette dei monti e le onde del mare sembrano stringersi in un abbraccio. E in Abruzzo colloca la gran parte della sua collezione, in più musei invece che in un’unica sede, quasi a voler fare della sua regione un museo diffuso. Ha donato al suo Abruzzo oltre duemila opere, in gran parte pittura: da Sassu a de Chirico, da Vangi a Falconi, da Ortega a Mirò a Rauschenberg, dalle incisioni di Goya a quelle di Picasso. La prima “creatura” è stato il Museo dello Splendore, il Mas, nel 1997, seguono i musei a Chieti, Vasto, Atessa, Pescara... «Ho voluto creare nella mia regione un’isola felice per offrire una bellezza da contemplare, soprattutto per i giovani. Non solo: penso a un coinvolgimento delle nuove generazioni anche attraverso Crocevia, la fondazione intitolata a me e Teresita. I musei che ho realizzato sono come alberi che io ho piantato, ma altri avranno il compito di curarli e custodirli, di farli crescere e mi auguro che aiutino i giovani a ricercare la bellezza che, com’è stato per me, li farà vivere meglio e risponderà alla loro sete di grandi orizzonti». Così scrive di Paglione il cardinale Loris Capovilla: «Uomo mite e silenzioso non ha pensato mai a erigersi un monumento, né lo attende dagli amici. Può per altro presentare una sua scheda di tutto rispetto e di riconosciuto spessore, compendiata nella sua produzione di gallerista, critico d’arte, di raccoglitore di spighe perché non vadano perdute. Con i cataloghi e le sobrie monografie su cui splende o si nasconde il suo nome, può dire sommessamente: Si monumentum quaeris, circumspice, se ti interessa sapere chi sono e cos’ho fatto, cosa ho nell’animo, guardati d’attorno e giudica benevolmente. Ho voluto introdurti nel giardino della bellezza che non sfiorisce e della letizia che non inganna».