Saggistica. Alfonso Berardinelli, il giornalismo delle idee di un critico libero
Lo scrittore e saggista Alfonso Berardinelli
Ci sarà un motivo per cui Alfonso Berardinelli, uno dei nostri prosatori più generosi, creativi e produttivi degli ultimi decenni, s’è cimentato sempre con la forma breve? Quando dico forma breve parlo di saggi e articoli, essendo lui del tutto riluttante al genere letterario dello studio e della monografia, se si eccettua agli esordi il giovanile Franco Fortini (1973). La risposta potrebbe arrivarci ora da questo libro immane che soltanto un editore come Il Saggiatore poteva avere il coraggio di pubblicare, mai condizionato nel suo lavoro editoriale da mere valutazioni di mercato, quando appunto decide di puntare su un’operazione culturale in cui crede: e questa, a testimonianza di uno dei percorsi intellettuali più originali degli ultimi cinquant’anni, andava assolutamente tentata.
Mi riferisco a Giornalismo culturale. Un’introduzione al millennio breve, stampato ora per la cura di Marianna Comitangelo e Giacomo Pontremoli (pagine 976, euro 32), che raccoglie tutti gli articoli apparsi tra il 2013 e il 2020 su “Il Foglio”, “Il Sole 24 Ore”, “Avvenire” e “Il Venerdì di Repubblica”. Predilezione esclusiva per la forma breve che, quasi per paradosso, ci restituisce un volume di mole insolita e in perfetta contraddizione con questi nostri tempi frettolosi, consumistici e decisamente refrattari a una scrittura di pensiero di non facile (e rassicurante) classificazione.
Ma Berardinelli è prosatore da sempre incline ai paradossi, se è vero che, a cominciare da Il critico senza mestiere (1983), piegò una vocazione teorica molto spiccata (e naturale) alla precoce decostruzione e demistificazione della teoria della letteratura allora egemone, avendo come solitari sodali i più o meno coetanei Franco Brioschi, venuto purtroppo a mancare nemmeno sessantenne, e Costanzo Di Girolamo. Senza dire della sua disposizione all’impegno civile e politico, ma esercitata nei modi d’un individualismo orwelliano e nel culto d’una disimpegnatissima libertà, che può portarlo persino a confrontarsi coi Pesci rossi del non amato Emilio Cecchi. Impossibile dar conto della folla di autori e delle molte questioni che occupano il libro.
Aggiungerei, però, che il sintagma “giornalismo culturale” del titolo non ha solo un valore per così dire descrittivo, ma implica importanti conseguenze sul piano del pensiero e dello stile, relativamente all’intelligenza delle forme. Berardinelli, sottolineiamolo subito, non è un critico letterario, ma qualcosa di molto di più e di diverso, seppure in quanto critico tra i più persuasivi e brillanti oggi in attività. Di più: se per lui «il lavoro giornalistico è stato (…) una necessità economica», tale necessità ha finito per favorire un’«inclinazione caratteriale per le forme brevi». Berardinelli non ha dubbi: «Il giornalismo scritto può essere considerato (…) il ramo più divulgativo e popolare della saggistica colta», che nel suo caso s’è tradotto in una sorta di disposizione al «diario in pubblico», quello d’un lettore che sceglie di leggere ciò «che più gli serve per dare forma a intuizioni, opinioni e umori del momento».
Berardinelli è diventato presto il più dotato saggista in Italia, ma d’un saggio concepito come il genere letterario «più prossimo al giornalismo». Quella necessità economica di scrivere per i giornali ha poi fatto il resto: favorendo nello scrittore la felice consapevolezza che persino i propri difetti (o quelli ritenuti da lui tali) – mettiamo «l’impazienza, cioè il gusto letterario per la velocità, la varietà, la mescolanza di temi e toni» – potevano essere sfruttati per diventare magari dei punti di forza. Tutto ciò rende il caso Berardinelli unico nella nostra cultura: per quella capacità di dire in pochissimo, con grande chiarezza e sorprendente rapidità, tutto quello che si deve dire.
C’è poi un’altra sua caratteristica, così rara da apparire oggi di sicuro scandalosa se non oscena: Berardinelli è uno scrittore che crede davvero alle idee, mentre gli è estranea qualsiasi forma di nicodemismo intellettuale, quella di chi si adegua solo esteriormente alle sue pubbliche verità, ma, in privato, si comporta seguendo solo ciò che gli conviene. E crede alle idee sino al punto di essersi coerentemente dimesso dall’università, quando ha perduto ogni fiducia nell’istituzione. Il suo resta una specie di illuminismo residuale praticato con ostinazione, fedele ai propri argomenti anche quando ci si trovasse a sostenerli in perfetta solitudine o nella sola stanza della propria mente.
Berardinelli è, insomma, un uomo adulto e responsabile in una società non solo letteraria che è divenuta ormai un giardino d’infanzia. È per questo che nella pars destruens, di mai pentito critico del costume culturale, resta imbattibile. Leggetevi certe pagine su taluni protagonisti del dibattito oggi così mitizzati e ve ne renderete conto. Fortunato, tra i lettori, chi conosce queste pagine per la prima volta. Sappiatelo: Berardinelli, come Montaigne, non ha mai fatto niente senza gioia.