«Ame Fantozzi non piace. Sarà forse perché ho fatto la tesi su Ejzenštejn...». Al giovane studente Aldo Grasso, ora direttore scientifico del Centro di ricerca sulla televisione e gli audiovisivi dell’Università Cattolica Milano, quella famosa battuta sulla
Corazzata Potëmkin non deve essere proprio andata giù. In realtà, il professor Grasso usa l’ironia per far capire come il personaggio del pusillanime impiegato portato quarant’anni fa sul grande schermo dal comico genovese, non sia mai stato nelle sua corde. Un compleanno che verrà festeggiato ora con il ritorno in sala, restaurati, dei due primi film,
Fantozzi (dal 26 ottobre) e
Il secondo tragico Fantozzi (dal 2 novembre), secondo quella che Grasso definisce «la penosa attività culturale da anniversario». «Mi piaceva molto di più il primo Villaggio televisivo – spiega il critico televisivo –, quello di Fracchia. Una vera novità». Per Grasso, è soprattutto la ripetitività che ha “consumato” Fantozzi: «Villaggio ha esagerato, ha sfruttato Fantozzi quanto il suo capufficio ha sfruttato lui, lo ha reso un cartone animato disanimato, non ha mai saputo conferire ai suoi mostri più inumani la valenza dell’allegoria». Niente sconti al povero Fantozzi? «Gli manca un barlume di autenticità spirituale, è una maschera da laboratorio, una trovata comica e, insieme, autoconsolatoria». Ma non può essere questa immedesimazione dell’italiano medio la ragione vera del successo? «Sì, la gente ridendo esorcizza le proprie frustrazioni. Mostra il Fantozzi che è in noi: noi italiani, noi remissivi, noi capri espiatori. Guardarlo è autoconso-latorio, però non ci porta a migliorare. Vero è che nel frattempo il personaggio creato da Villaggio è diventato per tutti noi il simbolo di una condizione umana lavorativa sofferta, tanto da essere entrato addirittura nel dizionario». “Fantozziano” significa molte cose, da oscuro e modesto funzionario a esempio esasperato del funzionario sottomesso. Ma Grasso ammette che Paolo Villaggio ha inventato una maschera, «l’unica veramente originale nella comicità degli ultimi quarant’anni in cui si possono sentire molte influenze letterarie (il travet francese, la lezione russa di Gogol’ e Cechov) e cinematografiche, aggiornandola e caricandola di tutte le valenze negative di un’Italia che vuole stordirsi con il proprio raggiunto benessere». Insomma, piaccia o no, Villaggio ha anche inventato un nuovo tipo di comicità, aggiunge Grasso, basata sull’iperbole e sul paradossi «grazie ai quali gioca a far esplodere il “banale punk quotidiano” in quadretti di cattivo gusto iperreale e tragicomico». Eppure
Fantozzi oggi viene rivalutato dalla critica e celebrato. «Villaggio corre un serio rischio. Che un giorno la gente si ricordi di Fantozzi e non di lui».