Teatro. Albertazzi, l'ultimo mattatore
«Sono un ragazzo con qualche annetto e non ho mai lavorato tanto in vita mia». Così ci aveva raccontato un paio d’anni fa Giorgio Albertazzi, allora 90enne, in un'intervista per Avvenire, sorridendo lusingato quando gli si faceva notare che non dimostrava affatto la sua età. Era in scena nel ruolo di Shylock ne "Il mercante di Venezia", uno degli ultimi spettacoli insieme a quelle "Memorie di Adriano" con la regia di Maurizio Scaparro, che per lui erano una sorta di autobiografia affidata alle parole di Margherita Yourcenar.
Quell’estate del 2014 Albertazzi aveva aperto anche la stagione del Sacro Monte di Varese leggendo "I canti della Rocca " di Eliot, poi aveva sorpreso tutti partecipando addirittura a "Ballando con le stelle" di Milly Carlucci su Raiuno, il più anziano partecipante al mondo del programma. Attivisimo, curioso, onnivoro, l’ultimo dei grandi mattatori del teatro italiano se ne è andato stamane all’età di 92 anni, quando il suo cuore malato, che come dice la moglie Pia de Tolomei "non si risparmiava mai", ha smesso di battere. Un cuore che aveva battuto di passione soprattutto per il teatro, di cui Albertazzi era diventato sinonimo: attore, regista, autore, ma anche uno dei primi divi televisivi.
"Le sue interpretazioni dei grandi classici restano una pietra miliare nella storia dello spettacolo. Attore versatile e innovativo, ha saputo unire nella sua lunga carriera tradizione e modernità» ha affermato oggi il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, guidando l’ondata di cordoglio delle istituzioni e del mondo dell’arte, da Gabriele Lavia a Gigi Proietti. Con la morte dell'artista fiorentino, nato a Fiesole il 20 agosto del 1923, se ne va davvero uno dei pilastri del teatro italiano. Nella sua vita una parentesi controversa, e mai rinnegata. Nel 1943, infatti, aveva aderito alla Repubblica di Salò: arrestato nel 1945 per collaborazionismo, trascorre due anni in carcere, per essere poi liberato nel 1947 a seguito della cosiddetta "amnistia Togliatti". Nel dopoguerra la laureò in architettura e debuttò sul palcoscenico nel 1949 in "Troilo e Cressida" di Shakespeare, con la regia di Luchino Visconti al Maggio Musicale Fiorentino. Due anni dopo il debutto nel cinema con il film "Articolo 519 Codice Penale" di Leonardo Cortese.
Al suo attivo una trentina di film e molto lavoro in televisione, soprattutto come interprete di sceneggiati televisivi di successo negli anni sessanta da "L'idiota" a "Lo zio Vania" oltre a quello "Jeckyl" del 1969 di cui fu regista e protagonista. Nel 1956 l'attore toscano fu protagonista in altre prose tv, come "Gli spettri" di Henrik Ibsen, per la regia di Marco Ferrero, e nel "Lorenzaccio" di Alfred De Musset. E proprio in quell’anno si realizzò la vera svolta a teatro, a cominciare da "Il seduttore" di Diego Fabbri, in cui cominciò a far coppia con Anna Proclemer, anche sua compagna di vita, riuscendo per quasi un ventennio ad essere tra i protagonisti della vita teatrale, proponendo classici moderni (da D'Annunzio a Pirandello) o autori contemporanei (da Sartre, Camus, a Fabbri, Brusati o Moravia). Una cesura all'interno del teatro tradizionale italiano fu il suo “Enrico IV" del 1983 con la regia di Antonio Calenda, in cui faceva del protagonista finto pazzo una metafora della stessa finzione dell'attore. Dal 2003 fu direttore del Teatro di Roma e contemporaneamente, portò in scena, insieme con Dario Fo, una serie di spettacoli-lezioni sulla storia del teatro in Italia, successivamente trasmessi da Rai 2. Nel 2009, dopo il terremoto dell'Aquila, recitò Dante tra le macerie.
«Il teatro è un atto d’amore - ci svelò allora affascinante come sempre -. E lo sa perché io resto giovane? Perché ogni volta che vado in scena, sono a casa mia».