Intervista. Albanese e il suo Gatto (in tangenziale) in cerca di «umanità»
L'attore e regista Antonio Albanese al Lecco Film Festival
Successo per il Lecco Film Fest, aperto il 29 luglio, che si è concluso domenica 1 agosto: «Ciò che fa bello il mondo», frase dedicata da papa Francesco alle donne, è il titolo della seconda edizione organizzata da Fondazione Ente dello Spettacolo il cui presidente monsignor Davide Milani, spiega: «Il festival si propone, attraverso il cinema e la cultura, di individuare tutti quegli elementi che possano valorizzare l’umano: solo così la ripresa accadrà e avrà un solido fondamento». Tante proiezioni e incontri, anche nel Nuovo Aquilone, storica sala cinematografica che ha riaperto dopo 40 anni, inaugurata da Antonio Albanese. Ospiti Giorgio Diritti, Susanna Nicchiarelli, Giulio Base, Maya Sansa, Donatella Finocchiaro, Giacomo Poretti, oltre alla preziosa presenza del cardinale Angelo Scola. A chiudere domenica la prima proiezione italiana di A Chiara di Jonas Carpignano, vincitore a Cannes e l’intervista con il ministro per le Pari opportunità e la famiglia Elena Bonetti.
«Questo è un evento storico. Questo cinema riapre e io per voi ci sarò sempre». Antonio Albanese si emoziona mentre firma la porta della sala di regia del Nuovo Aquilone, il cinema della parrocchia di San Nicolò della sua città, Lecco, che riapre dopo quarant’anni. Perché la riapertura di una sala cinematografica, dopo il disastro delle chiusure della pandemia, è davvero un segno di grande speranza. Per questo Albanese ha disdetto i suoi impegni per essere presente all’inaugurazione del cinema venerdì scorso, avvenuta nell’ambito della seconda edizione del Lecco Film Fest, che si concluderà oggi. Il festival, è promosso da Confindustria Lecco e Sondrio organizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo presieduta da monsignor Davide Milani, che è anche parroco della cittadina sul Lago di Como. Albanese ha anche dato alcune anticipazioni sul nuovo film, Come un gatto in tangenziale. Ritorno a Coccia di morto, seguito del grande successo dell’anno scorso, che uscirà in alcune sale in anteprima il 14 e 15 agosto e in tutta Italia dal 26 agosto.
Albanese, la vediamo particolarmente felice della riapertura di un cinema…
L’importante è avere uno spazio dove condividere l’intimità, le proprie emozioni e le proprie gioie. La sala cinematografica è terapia, è felicità e meraviglia, è uno spazio che può offrire ai giovani di ritrovarsi la sera per interagire, scoprire delle cose e valorizzare sempre di più il territorio. Questa è una giornata felice perché è nato uno spazio che può alimentare del benessere. Io sono nato e cresciuto qua, ho frequentato l’oratorio a Olginate, facevo il chierichetto e avevo sempre paura di far male a qualcuno quando agitavo il turibolo. Suonavo le campane, cosa che mi piaceva moltissimo. Quando don Davide, che conosco da anni, mi ha detto che voleva riaprire il cinema l’ho sostenuto con forza.
Il Covid ha purtroppo dato un brutto colpo alle sale.
Io giro l’Italia e lo posso veramente dire come è questo Paese. Non sa il bisogno in certe comunità di avere un luogo così. È fantastico che sia un prete a farlo, perché solo loro hanno il contatto con la comunità, cosa che oggi si sta perdendo. Quelli che dicono di avere il senso civico e che pontificano che noi dobbiamo aiutare la cultura, poi trascorrono 14 ore al giorno sui social e non vivono il territorio. Bisogna ricominciare a stare insieme, ad abbracciarsi.
Anche nel primo film Come un gatto in tangenziale si parlava di periferie e di classi sociali diverse.
E il nuovo Gatto fa molto ridere, ma molto riflettere. E in questo film viene coinvolta la Chiesa. Il mio personaggio, un alto funzionario dell’Unione Europea, aiuta Monica la “borgatara”, che è finita in prigione a trovare un’alternativa e la fa trasferire in un centro di assistenza gestito dalle suore e dai preti (il parroco è Luca Argentero). All’inizio lei ha molti pregiudizi e li prende in giro, ma poi scopre che questa comunità è composta da veri benefattori che sono quelli che stanno veramente sostenendo uno strato fondamentale di questo Paese. L’idea è venuta al regista Riccardo Milani quando è andato a presentare il primo Gatto in un teatro cinema in un oratorio e ha scoperto questo tipo di comunità. A Roma c’è un quartiere, Bastogi, che i romani non conoscono, ed è un quartiere di quelli tosti. Per me girare lì è stato interessantissimo, c’è un’umanità straordinaria. Prima di giudicare devi capire.
Anche nei suoi personaggi e nei suoi film è sempre presente un forte impegno sociale attraverso l’ironia.
Io sono innamorato delle persone, ho cominciato a fare questo lavoro proprio perché mi piace la gente. Una delle cose che mi ha sempre colpito sono le stonature all’interno dei gruppi. So che è un’utopia ma io voglio vedere l’armonia e la bontà nelle persone, è quello che mi hanno insegnato i miei genitori. Quello che mi viene bene è cercare di raccontare tutto questo, l’incongruo, l’incompatibile, l’assurdo, l’inutile devastazione umana. E allora ho cominciato nel primo spettacolo della mia vita intitolato Uomo d’acqua dolce: raccontavo della meravigliosa solitudine di quest’omino, Epifanio, un personaggio tenero nato quando è nata mia figlia, quasi fosse una fiaba, perché la tenerezza è la più grande trasgressione. Nel tempo sono arrivato addirittura al Ministro della paura: oggi molti politici cavalcano la paura, che è la cosa più semplice, e questo scatena la rabbia: ma la rabbia non porta a niente.
Lei si è occupato anche di illegalità nelle due serie de I topi, scritte e dirette per la Rai.
Da anni cerco di lottare contro il fenomeno, perché ogni forma di illegalità io la trovo ingiusta, ma anche un peccato. E poi la mafia ha una brutalità che io ho sempre considerato una malattia terribile. Ho scoperto anche che con l’ironia si può entrare, ce l’hanno insegnato i grandi maestri, in maniera efficace sul tema. Stavo notando che un certo tipo di illegalità e di mafia stava venendo un po’ nobilitata in tv, a questi mafiosi che avevano importato quintali di eroina e che avevano ucciso decine di persone veniva dato uno spazio dedicato alla loro sensibilità. A me questa cosa dà molto fastidio, perché fondamentalmente sono ignoranti come bestie. Dall’idea di mostrarli come sono è nata la serie: stavo scrivendo la terza quando la Rai l’ha cancellata, ora però c’è un forte interesse per produrla dall’estero. Apprezzo tutta la comicità, ma nel mio piccolo cerco di trasmettere anche un messaggio.
Anche nei prossimi film?
Il prossimo anno ho due progetti importanti, ma come amo fare viro, abbandono la commedia per un po’ e vado più diretto. Sarà l’età, adesso ho 57 anni, ma sento il bisogno di essere drammatico e anche molto duro. Il primo film si intitola Il trionfo ed è tratto da un format svedese, da una storia vera, e avrà la regia di Riccardo Milani. È una storia che mi piace molto perché parla di una grande umanità, del bisogno comunque di aiutarci. L’altro sarà una mia regia e parte da me. Io sono cresciuto a Olginate, sono stato un operaio tornitore dai 15 ai 22 anni, poi ho deciso di lasciare il certo per l’incerto. Ma se avessi continuato quella vita, se fossi rimasto qui, ora chi sarei?
La rivedremo anche a teatro?
Con Michele Serra porteremo in scena uno spettacolo che parla di religione. Ne abbiamo presentato una prova alla Scala di Milano con le musiche di Giovanni Sollima e la Filarmonica. Si tratta di un argomento molto delicato, io non ho mai offeso una persona nella vita e non lo farò mai. Si intitola L’uomo che prega e vuole raccontare di un uomo che ha tanto bisogno di pregare, come tutti noi e dobbiamo farlo, ma lui ha un problema, non trova la posizione giusta perché c’è una confusione incredibile. Io ho sempre avuto un rapporto sereno con la religione, ho sempre rispettato questa atmosfera che mi permette di riflettere, mi aiuta a conoscermi e mi aiuta anche a trovare la pace.