Storia. L'eterno, irresistibile fascino delle rovine
Giovanni Battista Piranesi, "Veduta della fontana e della Grotta di Egiria fuori dalla Porta Capena", 1760–78
Finalmente. Un libro davvero eccezionale, unico, rivelatore di qualcosa che “conoscevamo da sempre”, con la quale “vivevamo a contatto di gomito” e che tuttavia mai avevamo capito veramente: di più, che mai avevamo cercato nemmeno di capire. Magari (questo, sì…) pur restandone in fondo affascinati. È Storia universale delle rovine. Dalle origini all’età dei Lumi di Alain Schnapp (traduzione italiana di A. D. Arcostanzo e V. Palombi, Einaudi, pagine 925, – splendide – illustrazioni a colori, euro 120,00).
Eh davvero… chi non ha qualcosa di quel genere con sé, magari nel luogo più riposto della casa? E chi non ha un ricordo, una foto, un’immagine fugace di rovine custodita chissà dove, magari solo nella memoria? Una vecchia acquaforte del Piranesi, uno di quei quadretti ottocenteschi di genere con la vecchia Roma, quella dove i pascoli s’insinuavano tra le case scrostate dei quartieri popolari e in un angolo c’era un pastorello ciociaro? O magari l’immagine solenne del giovane generale Bonaparte a cavallo, con le Piramidi d’Egitto sullo sfondo, oppure un diruto tempio maya illuminato dalla luna…
È il fascino delle rovine ad aver ispirato, se non addirittura travolto Alain Schnapp, che ha loro dedicato un libro-monumento dedicato alla memoria di uno studioso – il suo Maestro – ch’è ormai un mito, Jean-Pierre Vernant. Quasi mille pagine, roba da capogiro: e, di esse, un buon centinaio solo di bibliografia e di indici.
Archeologo e storico, Alain Schnapp è (lo voglia o no) un uomo-monumento egli stesso. Professore emerito alla Sorbona (Parigi I), fondatore e a lungo direttore dell’Institut National d’Histoire de l’Art, ha curato cinque anni fa un libro, Une histoire des civilisations, Comment l’archéologie bouleverse nos connaissances (La Découverte, 2018) ch’è sul serio capace di sconvolgere il lettore colto e che era magari convinto, prima di affrontare quelle pagine, perfino di essere un competente in materia.
Perché, diciamolo subito, definire Schnapp un archeologo, uno storico, magari uno storico dell’arte o un iconologo, non basta. Davanti alle prospettive oceaniche da lui proposteci, in un viaggio che attraverso sette densissimi capitoli raccoglie in una sintesi poderosa migliaia di anni di storia (dall’era megalitica all’età des Lumières) dominando magistralmente il tempo e lo spazio, ci si rende conto di trovarsi sul serio dinanzi a un grande Maestro di antropologia storica: non a caso allievo di Vernant.
E aggiungiamo a tutto ciò un invito al lettore più attento. Si munisca d’uno strumento di consultazione a portata di mano (ma basta Wikipedia) e si accinga con umiltà a studiare attentamente l’a prima vista arida e noiosa lista di persone (alcune delle quali, lo diciamo subito, giovani e non o non ancora famose) che popolano a inizio volume la pagina dei Ringraziamenti. A cominciare da un altro nome illustre, Annie Schnapp-Gourbeillon, storica e filologa grecista e antichista, autentica prova (duole il dover cadere in un luogo comune) che dietro a un grand’uomo c’è sempre una grande donna.
Riflettiamo però un istante sull’autentico significato di questo libro sotto il profilo della testimonianza: se, si vuole, della sfida. Come si risolve l’apparente contraddizione di un’opera che si propone come “Storia universale” e si fregia al tempo stesso di un sottotitolo che sembrerebbe contraddire al suo assunto di fondo con un termine a quo tropo vago e indistinto per non apparire come provocatorio e uno ad quem così esplicitamente, scopertamente “culturocentrico” (lo so: è un neologismo inelegante): al punto che già m’immagino i fulmini di chi lo giudicherà “occidentalista” se non addirittura – alla stupidità intellettuale non c’è limite – “razzista”.
Ovviamente, la prospettiva dalla quale guardare a queste pagine è ben diversa. Appunto perché siamo dinanzi a una proposta seria di “storia universale”, indispensabile è il dichiarare da quale punto di vista si coglie l’universalità del soggetto studiato. E basta aprire il libro per trovare anzitutto una risposta (il Genio del cristianesimo di Chateaubriand: “Tutti gli uomini hanno una segreta attrazione per le rovine”) per rendersi conto che a un problema che trascende lo spazio e il tempo noi abbiamo avuto accesso passando per il maestoso portale del pensiero europeo espresso proprio sul limitare della splendida e terribile età contemporanea, quel terribile cinquantennio tra le grandi Rivoluzioni e il definirsi della “globalizzazione” come oggi la intendiamo: tra un vertiginoso progresso e un’orribile sequenza di stragi. Chi meglio di noi è in grado, in questo primo quarto del XXI secolo, di contemplare con piena cognizione di causa le rovine? Chi di cogliere il nesso misterioso e profondo della distanza incommensurabile, e al tempo stesso della paradossale identità, tra un Monumento e una Rovina?
Ed eccoci costretti, al seguito di Schnapp, ad affrontare le rovine a partire da quell’Egitto che “da sempre” (dagli ebrei a Mosè ai greci ai romani agli uomini del nostro Rinascimento) è sempre stato un oscuro, abbagliante mistero, l’antico Egitto: e di rovina in rovina – e di modello in modello – passare al sorgere del “sentimento del passato”, al confronto fra l’Occidente figlio della Grecia e di Roma (e del cristianesimo) e il “totalmente altro” Oriente cinese, alla riscoperta rinascimentale dell’antico quale chiave per l’accesso alla Modernità, al Nuovo Mondo come nuovo portale d’ingresso al passato (basta considerare un istante la pianta e lo sky-line di Washington), al Passato come ideale e come incubo (dalla “Nuova Gerusalemme” alle fantasie hitleriane sulla colossale Berlino ricostruita “dopo la Vittoria”).
Bisogna essere riconoscenti ad Alain Schnapp. Ma la Perfetta Gratitudine non è cosa di questo basso mondo. Donandoci questo libro, egli ci ha implicitamente formulato una promessa: altre mille pagine, un secondo volume “dall’età dei Lumi al Presente (e magari al futuro)”. Alain Schnapp, ormai già Professore Emerito, obietterà forse di sentirsi troppo vecchio per raccogliere una sfida del genere. Vas-y, mon vieux, et bon courage: mai proporre un limite alla Divina Provvidenza.