La mostra a Roma. Al Maxxi l'Italia di Berengo Gardin
Treno Roma-Milano, 1991
Maestro del bianco e nero, della fotografia di reportage e di indagine sociale, in quasi settant’anni di carriera Gianni Berengo Gardin (Santa Margherita Ligure, 1930) ha raccontato con le sue immagini l’Italia dal dopoguerra a oggi, costruendo un patrimonio visivo unico caratterizzato da una grande coerenza nelle scelte linguistiche e da un approccio 'artigianale' alla pratica fotografica. La sua personale “Gianni Berengo Gardin. L’occhio come mestiere” al Maxxi da oggi al 18 settembre raccoglie oltre duecento fotografie tra immagini celebri, altre poco note o completamente inedite, in un racconto che riprende il titolo del celebre libro del 1970 curato da Cesare Colombo, L’occhio come mestiere: un’antologia di immagini del maestro che testimoniava l’importanza del suo sguardo, del suo metodo e della sua capacità di narrare il suo tempo.
Traghetto di Punta della Dogana, Venezia, 1960 - © Gianni Berengo Gardini/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia
La mostra, a cura di Margherita Guccione e Alessandra Mauro, è prodotta dal Maxxi in collaborazione con Contrasto; commenta Giovanna Melandri, Presidente Fondazione Maxxi: «Sono particolarmente felice di questa mostra dedicata a Gianni Berengo Gardin, che ha scelto di mostrare per la prima volta qui al Maxxi alcune fotografie inedite. Il suo sguardo ha attraversato l’Italia e l’ha raccontata nelle sue dinamiche sociali, nel mondo del lavoro, della cultura. Le sue immagini 'vere' sono meravigliose, con l’uso del bianco e nero, con il gioco delle ombre. Raccontano l’uomo nella sua dimensione sociale, hanno un forte valore insieme poetico e politico e sono straordinariamente contemporanee».
Taranto, 2008 - © Gianni Berengo Gardini/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia
Dice Margherita Guccione: «La mostra rilegge in una prospettiva nuova la sua lunghissima carriera, segnata da una forte e coerente idea di fotografia-documento, quella che lui chiama 'vera fotografia'. Una modalità che rifugge dalla tentazione della manipolazione analogica o digitale, per riaffermare una visione documentaria, ma mai neutrale e sempre partecipe della realtà».