La mostra a Chiasso. Sogni, lusso e progresso: la Belle Époque dei treni
Jean Raoul Naurac Londres – Vichy – Pullman, particolare, 1927, cromolitografia
Londres-Paris-Constantinople. Hercules Poirot avrà certamente gettato un occhio al manifesto prima di salire sull’Orient Express. Forse proprio mentre Picasso e Matisse dormivano beati sui Wagon-Lits del Train-Bleu, Parigi-Costa Azzurra in una notte. A una velocità impensabile, 50 chilometri orari, i futuristi si erano subito entusiasmati. C’è stata una stagione in cui i treni erano sinonimo di sogno. La racconta il m.a.x. di Chiasso in una ricca e interessante mostra a cura di Oreste Orvitti e Nicoletta Ossanna Cavadini – e che a maggio arriverà al Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa, Napoli-Portici (il più grande d’Europa di questo tipo e forse anche il più misconosciuto tra i musei italiani).
Grafica e arte, ma anche maquette, cartoline e modelli storici, e molto design, da quello destinato ai passeggeri a quello per chi con e sui treni lavora. E un arco cronologico che va dalla nascita delle reti ferroviarie (iniziative di compagnie private, poi nazionalizzate) al presente, quando il viaggio in treno ha assunto una dimensione e soprattutto una narrazione completamente diverse.
A fare da padrone, seguendo una tradizione propria del m.a.x, è la grafica. Lo sviluppo della ferrovia coincide di fatto con la nascita della comunicazione attraverso la cartellonistica, complice lo sviluppo della meccanizzazione: sono entrambi fenomeni della modernità e hanno in comune lo stesso bacino di utenza, una nuova e ampliata classe borghese mercantile e industriale – che è contemporaneamente produttrice e consumatrice – il cui desiderio di svago è assai meno stanziale dell’antica aristocrazia a base agricola (la quale infatti non viaggiava, ma si costruiva ville nei possedimenti in campagna).
Ma è anche una società erede della tradizione del Grand Tour, ormai declinato da esperienza culturale in viaggio di piacere, lanciato – letteralmente – sui binari del turismo. E infatti i manifesti combinano in modo davvero peculiare il mito del Mediterraneo (il Vesuvio e le donne in costume, il Colosseo con i pastori al tramonto – ed è il 1921! –, Taormina e i limoni ma anche il Marocco, i minareti di Istanbul, la palme del Cairo e le sabbie di Baghdad...) e il nuovo mito del progresso: ponti arditi che superano valli, la velocità nella notte, l’avvento dell’elettricità...
Lang & Schmitt, Zürich, segnale di coda a petrolio, 1915, - Courtesy SBB Historic
A fare da collante a tutto questo è il lusso, evocato dalle immagini e reso tangibile in mostra dalle ricostruzioni, interamente con pezzi originali tra mobili, tessuti, boiserie e corredi, dei salotti delle carrozze Pullman e delle cabine dotate di acqua calda e fredda dei Wagon Lits, ma anche i bauli da viaggio la cui richiesta cresciuta esponenzialmente avrebbe fatto la fortuna di una fabbrica di valigie chiamata Louis Vuitton.
Non bisogna dimenticare che questa è la sfera “visibile” dell’universo ferroviario, quanto è potuto arrivare fino a noi. Manca in mostra il treno proletario, quello degli operai e dei migranti, e non poteva essere altrimenti: questo treno, che pure è esistito, non conosceva réclame né aveva bisogno di sgargianti impianti di comunicazione.
Gabriele Chiattone, "Gotthard-Bahn. Laghi di Como, Maggiore e Lugano", 1902, cromolitografia - Ivan Suta / Courtesy SBB Historic
Ma il manifesto ferroviario, oltre ad avere un compito tecnico (i più antichi combinano vedute panoramiche e orari) e pubblicitario, può averne anche uno politico – e proprio una lettura strategica dello sviluppo ferroviario in Svizzera nella chiave della geopolitica europea è oggetto di uno dei saggi più interessanti del catalogo (Skira). Il ticinese, con base professionale a Milano, Gabriele Chiattone nel 1902 realizza un manifesto liberty per la ferrovia del Gottardo in cui la giovane figura dell’Elvezia poggia un piede sull’emblema delle Ferrovie Federali Svizzere, un ruota con le ali di Mercurio (non ci si libera facilmente del mito) collocata in piena Pianura Padana, mentre con le mani è aggrappata alla rete ferroviaria europea che connette Parigi e Dresda. La sua veste rosa, dal panneggio inconfondibilmente alpino, è innervata dal tracciato nero della Gotthard-Bahn.
Il messaggio è eloquente, così come lo è fino alla pedanteria quello del manifesto celebrativo realizzato da Giovanni Maria Mataloni per l’inaugurazione del traforo del Sempione, nel 1906: sullo sfondo della bocca del tunnel due Mercuri, uno italiano in entrata e uno elvetico in uscita, dotati di fanali d’ordinanza, poggiano in equilibrio precario su altrettante ruote alate. A impedire che cadano è l’intrecciarsi delle dita nell’atto tipico di chi computa: l’alleanza economica veicolata dalla ferrovia è vitale, romperla significherebbe la rovina di entrambi. Niente politica ma incomparabilmente più bello è il manifesto, celeberrimo, di Leopoldo Metlicovitz per le Officine Grafiche Ricordi, con una giovane Scienza e un aitante Mercurio seduti davanti a una locomotiva lanciata a tutta velocità mentre ormai in uscita dal tunnel si affacciano su un pianura brumosa sulla quale svetta in lontananza la guglia con la Madonnina.
Chiasso, m.a.x.
Treni fra arte, grafica e design
Fino al 24 aprile
Leopoldo Metlicovitz, "Apertura del Tunnel del Sempione", 1906, cromolitografia - Collezione privata Alessandro Bellenda, Alassio