Ciclismo. Al Giro d'Italia seguendo Pasolini
Quando sulla lunga strada di sabbia Pasolini decide di mettersi in viaggio, siamo alla vigilia dei mitici anni Sessanta; precisamente tra il giugno e l’agosto del 1959. E al volante di una Fiat 1100 lo scrittore – accompagnato dal fotografo francese Philippe Séclier – si lancia in un avventuroso giro lungo le coste della penisola italiana: dal Ventimiglia a Trieste. Scopo di quel viaggio è la realizzazione di un ampio reportage per la rivista Successo. Non è un caso che Brian Nygaard, 44 anni, danese di stanza da anni con la fidanzata Karen a Pietrasanta, questo libro se lo sia messo in valigia prima di partire per il suo Giro d’Italia. Una guida del pensiero, che lo sta aiutando a raccontare il nostro Paese e che ad ottobre, in Danimarca, diventerà libro. Titolo: Italien Rundt, Giro in Italia. Anche lui non è solo: al proprio fianco però non c’è un fotografo, ma un pittore, scultore, un artista danese tutto tondo. Un appassionato dell’Italia e del Giro. Ha 62 anni e si chiama Erik A. Frandsen, artista quotatissimo nel mondo, non solo nella terra di Hans Christian Andersen. «Conosco l’Italia e ne sono letteralmente innamorato - ci racconta Brian -. Il vostro Paese l’ho scoperto grazie al ciclismo. Nel 2000 mi sono laureato in filosofia all’Università di Aarhus ed ero in attesa di partire per un dottorato all’estero: durante l’estate mi chiesero se fossi interessato a curare le pierre per un team ciclistico (Csc, formazione danese di Bjarne Riis). La base era da voi e ho accettato subito, pensando di fermarmi per una sola estate. Poi, a fine anno, mi proposero di entrare a far parte della squadra in pianta stabile. Ho fatto le mie riflessioni e ho chiesto di poter continuare a lavorare nel vostro Paese. Davanti alla loro risposta affermativa, non ho avuto più dubbi e ho accettato». Prima Lucca, poi un breve periodo a Como, infine Pietrasanta. «Un laboratorio a cielo aperto - dice -. Una bomboniera di arte e cultura. Pietrasanta è paradigma della bellezza». Anche per Nygaard questo è un viaggio “lungo e sabbioso”. «Pasolini è stato chiaramente l’ispirazione - ci racconta -. Seguire il Giro d’Italia è invece un pretesto, un modo per accedere nel cuore di una Paese stupendo, seguendo una traccia, un brogliaccio che è stato disegnato da Mauro Vegni, il direttore della “corsa rosa”. Lo usiamo davvero come spartito, per avere dei confini e il nostro racconto è rigorosamente a due voci: c’è la suggestione della scrittura e quella data dall’immagine, in questo caso dalla pittura. È una costante narrazione a due corsie: talvolta i nostri percorsi sembrano incrociarsi e sovrapporsi, ma nella sostanza non facciamo altro che percorrere assieme una strada parallela, fatta di complicità ed emozioni».
La lunga strada di sabbia è considerato, da sempre, tra gli scritti minori del poeta bolognese cresciuto a Roma. «Invece è un documento cruciale nel corpus pasoliniano - precisa Brian -. In questi racconti c’è la sua sete di umanità, c’è il bisogno profondo di preservare e proteggere. Noi vogliamo molto più semplicemente raccontare una terra che è strepitosamente bella e piena zeppa di contraddizioni. È il racconto del Belpaese che sta cambiando velocemente, e non sempre in meglio. Anzi, sono molto preoccupato dall’avanzata sempre crescente di questo populismo e sovranismo dilagante. Non mi piace neanche un po’ la mancanza di solidarietà e accoglienza. L’Italia e gli italiani non sono così, non sono questi: sono l’esatto contrario. Sono quelli che mi hanno accolto come figlio e fratello, e mi hanno fatto diventare uno di loro. Eppure in questi ultimi anni è successo qualcosa, e noi cercheremo di raccontarlo». Un viaggio iniziatico, come fece Goethe o von Riedesel, il barone prussiano che attraversando l’Italia nel 1767, stilò l’archetipo del diario di viaggio. C’è la potenza del racconto e il Giro ha una forza evocativa che fa da sottofondo. Brian, che oggi segue il ciclismo come telecronista per la tivù di stato danese, parla di noi con amore infinito. «Sarò sempre grato a mio fratello Kim, che nel 1999 mi prestò i soldi per venire a vedere il mondiale di ciclismo a Verona. Vinse Oscar Freire, ma per me fu il viaggio della vita. Dove trovi un altro Paese con tanta bellezza artistica, con tanto gusto, con tutta questa storia? Il problema è che voi italiani non siete consapevoli di quello che avete. Il nostro vuole essere un libro sull’Italia e le sue bellezze, ma anche sulla sua complessità degli italiani, che è poi un aspetto che mi ha sempre affascinato. Cosa non mi piace? Il pregiudizio, la miopia e la volgarità. Siete la nazione del buon cibo, della cucina regionale, e vi state sempre più omologando verso quella cucina che puoi trovare ovunque: anche in Danimarca. Sono testimone del decadimento del gusto di kantiana memoria e di questo, non ne sono per niente felice».
È venuto sulle strade del Giro, che da sempre accoglie senza pregiudizi. Tutti uguali sul traguardo del mio cuore, basta avere una bicicletta. «L’idea del libro è nata per puro caso - prosegue Brian -. Ero in telecronaca per raccontare il Giro di Spagna, ma stavo parlando come spesso mi accade dell’Italia. In ascolto c’era Frandsen, anche lui appassionatissimo di ciclismo e del Belpaese: ne è rimasto folgorato. Mi contattò e mi chiese: “perché non facciamo qualcosa insieme? Potremmo raccontare l’Italia a quattro mani, con quattro occhi e due cuori”, mi disse. Avevo sul comodino La lunga strada di sabbia: è stato un segno del destino. Così abbiamo incominciato il nostro viaggio, che si farà racconto. Chi vincerà il Giro? M’interessa davvero poco, anche se la passione è tanta. Ma per questo nostro progetto c’è solo voglia di conoscenza, attraversando strade e paesi, borghi e luoghi, in cerca di storie e storia. Vogliamo vivere un’esperienza. Come ebbe modo di scrivere Gabriel García Márquez, la vita non è quella vissuta, ma quella che si ricorda: per poi raccontarla». © RIPRODUZIONE RISERVATA Lo scrittore Brian Nygaard