Intervista. Al Bano: «Canto e porto felicità a chi soffre»
Il cantante Al Bano Carrisi, 80 anni, venerdì sera in concerto a Milano per il concerto dei bimbi assistiti da VIDAS
Mio padre, Mario Castellani, è volato in Cielo il 5 aprile scorso: era nato il 16 maggio. Quattro giorni prima di Al Bano (il 20 maggio ha compiuto 80 anni) e fino all’ultimo respiro è stato accudito dall’amore di sua moglie (Teresa, 57 anni insieme) dalla nostra famiglia e dagli operatori della Vidas. Il suo ultimo angelo custode si chiama come lui, Mario, ribattezzato “Marietto”, un salentino salito a Milano per aiutare malati all’ultimo giro di giostra. Questo inciso autoreferenziale, di cui il lettore spero mi perdonerà, lo confesso ad Al Bano che, da uomo sensibile e generoso come pochi altri in questo intronato mondo del cantar leggero, ascolta mentre vola da Lubiana a Palermo. Toccata e fuga nella sua tenuta di famiglia a Cellino San Marco (Brindisi) e poi ancora in viaggio: a Roma da papa Francesco e domani sera atterra a Milano, dove venerdì al Teatro Dal Verme ha una data unica, il concerto solidale per Vidas (Volontari italiani domiciliari per l’Assistenza ai Sofferenti).
Il ricavato del concerto di venerdì va ai bambini assistiti da Vidas. Il cuore di Al Bano da sempre batte per i più piccoli e gli indifesi...
Il primo incontro con dei bambini malati me lo organizzò il prof. Umberto Veronesi all’Istituto dei tumori di Milano. Vedere quelle piccole creature emaciate, senza capelli, all’inizio fu un impatto durissimo. Poi mi sciolsi cantando e alla fine il prof. Veronesi mi disse: «Tu non puoi capire quanto è importante per loro incontrare cantanti famosi come te, ascoltarti è stato come prendere una medicina, a questi bambini hai regalato un pomeriggio di normalità». Quei volti sorridenti e quelle parole del prof. Veronesi non le ho mai dimenticate…Così come non dimentico don Verzè che mi volle socio fondatore dell’ospedale San Raffaele per cui nel ’96 scrissi l’inno l’Angelo Raffaele….
Al San Raffaele, su suo consiglio, si è curato fino alla fine Toto Cutugno scomparso ad agosto.
Un grande amico e un grandissimo artista. Toto ha lasciato un grande vuoto nel mondo della musica dove in tanti, specie qui da noi, non gli sono stati amici. Quegli stessi che lo criticavano con ferocia c’hanno provato anche con me, ma gli è andata male – sorride -. Io non mi sono mai abbattuto per le critiche, perché grazie a Dio ho la scorza dura…
Quali sono le critiche che gli hanno mosso e che gli hanno fatto più male?
Non potendomi attaccare sulla voce, spesso mi hanno fatto passare per quello che non sono... Hanno cominciato da quando mi sposai con Romina e non facevano che scrivere «durerà un mese». Poi hanno proseguito sulle questioni familiari e su ogni singolo disco avevano sempre da ridire, fino alla ciliegina sulla torta: il “plagio” di Michael Jakson. La sua Will You Be There , Jackson l’aveva pubblicata nel ’93 io la mia I cigni di Balaka era dell’87 e l’avevo scritta nell’82 seduto su un marciapiede di Los Angeles. Oh, 37 note su 40 della sua canzone sono uguali alla mia, eppure c’era chi insisteva: ma tu pensa se Jackson copia un italiano?
Al Bano “un italiano vero” avrebbe detto Toto Cutugno, uno che quando torna a Milano è come se rileggesse la sua storia dalla prima pagina.
Sono arrivato qui sotto il Duomo nel ’61 dopo essermi beccato del “pazzo” da mio padre, Carmine Carrisi, che era convinto che dopo tre mesi sarei tornato indietro a lavorare la nostra vigna… Facevo il cameriere e guadagnavo 25mila lire al mese: 10 mila se ne andavano per la pensione dove dormivo e 15mila le spedivo a casa. Poi arrivò il Clan di Celentano, facevamo concerti per tutti i paesini dell’hinterland e il massimo furono i quattro show a Ginevra. Firmai il mio primo contratto discografico grazie a Natale Massara (sassofonista del Clan) e mi sembrava di essere atterrato sulla luna.
Chi è per Al Bano Adriano Celentano, quest’uomo misterioso che appare e scompare dalle scene?
Un genio assoluto. Ricordo che nel Clan c’era un signore, mi pare si chiamasse Della Bona, che si occupava dei contratti e un giorno era lì con la faccia esterrefatta perché Celentano davanti ai suoi occhi aveva appena strappato un contratto da 1 milione di vecchie lire. Oh, eravamo agli inizi degli anni ’60, era una cifra… Ma Adriano aveva una fame di spettacolo e credeva così tanto nel suo talento che poteva rifiutare. Ogni tanto lo sento al telefono e quando parliamo rivedo sempre quel ragazzo agile, molleggiato, pieno di vita e di voglia di stupire il mondo…
Qual è l’artista che più ha stupito Al Bano?
Domenico Modugno, lui ha rivoluzionato la musica leggera italiana ed è stato il mio punto di riferimento. Era nato a Polignano, ma poi suo padre che lavorava come guardia municipale venne a vivere a due chilometri da Cellino San Marco. Avevo sempre sentito parlare di Modugno, anche in paese, ma se ne era andato via presto a vivere a Roma e lo incontrai la prima volta soltanto nel ’67, a New York. Stava cercando un impresario americano per il suo musical Rinaldo in campo, mentre io ero lì a tenere dei concerti. Una sera venne a sentirmi cantare e alla fine ci salutammo affettuosamente, ma non si espresse...
Il grande Modugno forse temeva di aver visto nascere il suo “rivale canoro”?
No, mi stimava, ma non aveva nulla da temere. Mimmo era un portento, una voce unica e inarrivabile, e poi era un artista completo: cinema, teatro, musical... Fu il primo a cantare nel nostro vernacolo salentino. La voce e le canzoni di Modugno resteranno in eterno, sono un marchio di fabbrica italiano nel mondo.
Ma anche Al Bano ha iniziato cantando e recitando, proprio come “mister Volare”.
Quei film, i Musicarelli portavano al cinema l’Italia degli anni ‘60 e quindi la mia popolarità crebbe dalla sera alla mattina in maniera incredibile. Con la canzone Nel Sole che divenne anche un musicarello, nel 1967 mi piazzai al 64° posto nel Billboard degli Usa. Mi proposero una carriera “americana”, ma all’epoca vedevo solo l’Italia e la mia Cellino. Nel ’68 a Sanremo cantai La siepe in abbinata con Bobbie Gentry e ascoltando Roberto Carlos accoppiato con Sergio Endrigo vidi un cambio di bandiera... L’anno dopo cantai a Teheran per lo Scià di Persia e intrapresi con convinzione un percorso internazionale che di fatto non si è mai interrotto.
Oltre 25 milioni di dischi nel mondo, 26 dischi d'oro, 8 di platino e centinaia di concerti, ma quali restano quelli memorabili?
In piazza San Marco a Venezia quando vinsi la “Gondola d’argento”: cantai Nel sole e vidi la gente impazzita, una folla sospesa su questa piazza tra l’acqua e il cielo. Uno spettacolo unico, straordinario. Poi le 90mila persone ad Atene, un trionfo. Avevo inciso Il ragazzo che sorride di Mikis Theodorakis, il compositore di Zorba il greco, il simbolo della loro libertà. Il più esotico dei concerti? In Ecuador, a Guayaquil, , il palco era in mezzo alle baracche con i maiali che scorrazzavano tra la folla che era venuta ad ascoltarmi. Non so come ero finito lì – sorride divertito - ma lo ricordo ancora come il posto più strano in cui ho cantato.
Avventure di un principe del pop che però era nato per cantare l’Opera.
Mia madre, Jolanda, era una contadina che non era andata a scuola, eppure cantava a memoria Casta Diva nella versione della Callas, e quella è stata la prima musica che è entrata in casa nostra. A Roma diventai amico di Giancarlo Del Monaco, il regista figlio del grande tenore Mario che andai a sentire cantare l’Otello al teatro dell’Opera. Mario Del Monaco volle conoscermi, voleva capire se la mia voce era frutto delle “diavolerie meccaniche”, così mi ascoltò e poi fece. «Tu figlio mio sei stato rubato alla lirica». Io invece ho fatto in modo che la lirica non mi rubasse e ho seguito la scia di Modugno e di Claudio Villa che una sera a Venezia mi fa: «Ragazzo, tu farai una grande strada!» Ascoltare Ray Charles, Marvin Gaye e tutta la musica nera di quegli anni ha cambiato definitivamente la mia direzione, e credo di aver aperto una strada. Andrea Bocelli e Il Volo, hanno dimostrato come il sottoscritto, che anche nella musica leggera ci sono delle “pagine d’opera”, e non sempre involontarie.
Bocelli e Il Volo in comune con Al Bano hanno anche un trionfo a Sanremo. Un pensiero per il Festival del 2024 l’ha fatto?
Sinceramente una mezza cosa in mente ce l’ho… Ma è prematuro parlarne.
Vogliamo parlare dell’Ucraina che l’aveva messa “nella black list” in quanto amico di Putin?
Io sono amico solamente della pace, e infatti il 16 dicembre a Bari canterò per la pace tra il popolo russo e quello ucraino. In tempi non sospetti dissi che Putin era “il più occidentale dei russi”, ma adesso ha scatenato una guerra che come tutte le guerre sta uccidendo gli innocenti, i civili, i bambini… Mi hanno cercato da Mosca per cantare, ma io ho già detto che finché ci sarà la guerra non vado da quelle parti. Il giorno che tornerà la pace, farò un concerto in Russia e uno in Ucraina. E il mio sogno è di poter organizzare quelle due date il prima possibile.
Nel frattempo ha incontrato il “testimonial universale” della pace, papa Francesco...
Nel secolo scorso ho incontrato tutti i Papi e ho avuto la fortuna di conoscere tre Santi. San Pio che mi diede la sua benedizione a 13 anni in un viaggio a San Giovanni Rotondo che non dimenticherò mai, poi san Giovanni Paolo II per il quale ho cantato sette volte in Vaticano e infine santa Teresa di Calcutta che in pratica ha battezzato mia figlia Cristel. Ora al mio amato papa Francesco ho portato in dono un disco inedito di musica sacra che ho registrato apposta per lui. Dentro c’ho messo classici come l’Ave Maria e lo Stabat Mater e una perla come il Magnificat di Marco Frisina: tre brani che esprimono al meglio la mia fede attraverso la musica che metto sempre al servizio di tutti, a cominciare dalle persone che soffrono.
Un sogno che deve ancora realizzare?
L’ho appena realizzato: nel 1973 a Cellino San Marco creai la prima azienda vinicola, nel 2000 la seconda e sognavo tanto la terza che è nata nel 2023 e mi permetterà di produrre 5 milioni di bottiglie l’anno. Ve lo canto da tanto no - sorride -: felicità, è un bicchiere di vino!