Musica. Aida canta Mimì: «La mia amica geniale»
Aida Cooper
C’è sempre un brivido a sorprendere l’anima, a pungerla facendola sorridere e commuovere insieme, quando si ascolta Mia Martini. E certo Aida Cooper, pur storica e maestosa voce blues della canzone italiana, non ha il timbro di Mimì. Però Aida le è stata accanto per anni, amica oltre che collaboratrice; e ora che a un quarto di secolo dalla scomparsa (il 12 maggio 1995) della più grande cantante italiana ha deciso di ricordarla con un album di brani trasportati all’oggi fra rock ed elettronica in modo sensibile, con interpretazioni spettacolari e intelligenti d’un repertorio - Danza, Donna, E non finisce mica il cielo… – d’altissimo profilo, ora che insomma Aida Cooper canta Mia Martini, ecco che pure lei finisce col suscitare il brivido di cui sopra. Mimì dà i brividi anche con la voce di Aida, sì; anche così risveglia quell’emozione che fa bene e male al contempo. E ciò accade proprio perché la Cooper conosceva la donna e l’artista, e ha unito tale conoscenza alla propria bravura per rimettere Mimì, al centro del palco della vita e della musica. Nel posto che Mia Martini meritava, nel posto da cui il destino ce l’ha rapita troppo presto.
Il suo disco s’intitola Kintsugi-Amica mia: ma che cosa significa, quel termine giapponese?
Kintsugi, è l’usanza nipponica per cui quando un oggetto si rompe se ne rimettono insieme i cocci saldandolo con l’oro o altri materiali preziosi e dandogli ancor più valore. L’ho evocato a metafora della capacità umana di far fronte in modo positivo a dolori e cattiverie: sin troppi cocci, io e Mimì abbiamo rimesso insieme.
Quali sono state le sofferenze maggiori della Martini?
Offese e maldicenze. Che lei da calabrese subiva in silenzio, cosa che mi colpiva molto. Ma la scavavano dentro: anche se non riuscirono ad annientarla.
Che donna era Mia?
Stupenda. M’ha insegnato l’ironia, era sagace, era colta. E amava i lavori manuali: entrava nei negozi di ferramenta a comprare pinze e tenaglie… Era una persona piacevolissima, oltre che un’artista che non temeva confronti. E che pure oggi, sarebbe unica.
Quando l’ha conosciuta?
Nel ’76, cantai con lei in tour per tre anni poi ebbe disavventure con lo zio che ne trattava le serate e andai con la sorella Loredana. Siamo diventate amiche e confidenti solo anni dopo. Oltre al lavoro ci univa anche una casa, abbiamo vissuto insieme per diverso tempo.
Come ha scelto i nove brani del suo disco d’omaggio?
Non è stato difficile, dovevano solo essere cose belle che sentivo mie. Avrei però messo più brani meno noti, oltre a Spaccami il cuore di Paolo Conte che venne respinta a Sanremo nel 1985, e sentivo sacrilego affrontare Almeno tu nell’universo: una canzone troppo sua. Però il mercato ha regole cui ho dovuto sottostare.
Ci sono brani che descrivono Mimì senza filtri?
Di quelli che ho scelto direi Per amarti. E Sono tornata: quando la interpreto m’immagino di poterla vedere che torna ancora, col suo passo da “papera”.
Ha anche inciso l’inedita Un figlio mio, che sembra una biografia dell’anima e dei turbamenti della Martini.
E lo è. Quand’ho chiesto un brano per il disco a Maurizio Piccoli (autore per Mimì di Inno, Un altro Atlantico e molte altre gemme), lui lo stava proprio scrivendo per Mia. Lei stessa, glielo chiese poco prima di morire: scrivi del mio desiderio più grande, del figlio che non ho potuto avere?
Lei ha lavorato anche con Mina, Oxa, Zanicchi; era diverso, andare in studio o in tour con Mimì?
Era molto esigente. Per La musica che gira intorno dell’ultimo Cd nel ’94 volle vocalizzi difficilissimi e andai nel panico. Questo, malgrado la sua stima nei miei confronti fosse tale che stava traducendo un pezzo di Paul Simon perché lo incidessimo in duetto.
Lei ha avuto un momento di notorietà da solista, fra bei dischi blues e il Sanremo ’89: anche Aida Cooper ha subito cattiverie e storture dell’ambiente?
Eccome, specie nell’89. Quando Mara Maionchi, che l’ha ammesso, m’impose un pezzo sbagliato: il quale non smosse nulla e segnò la fine di ogni mia chance da solista. Litigammo di brutto, ma avrei dovuto impormi io. O quantomeno ritirarmi da quel Festival.
Venne penalizzata pure quando iniziò negli anni ’60 come Aida Nola e poi “retrocesse” a vocalist?
No, lì ero io che non sapevo cosa volevo. Nell’89 lo sapevo: puntavo su Il vento dell’Est, che piaceva agli addetti ai lavori, mi trovai con Questa pappa che venne banalizzata. È il mio grande rimpianto...
Invece il suo orgoglio più grande?
Proprio l’aver cantato con Mimì. Da anni, volevo renderle omaggio per tutto quello che mi ha donato.
Adesso porterà la musica della Martini, o il suo blues, nei teatri?
Ma, specie in questo tempo di Coronavirus, non ci sono più locali… E anche se per me è pane quotidiano, purtroppo da noi di musica non si vive. Certo lo vorrei fare, un tour coi brani di Mimì...
Ma Mia Martini, oggi è finalmente ricordata come merita?
Sì, anche il film-tv con Serena Rossi era corretto. Certo, come alcuni pittori Mimì è stata vittima di troppe ingiustizie. E apprezzata in ritardo.
Ma si può definire Mimì con una parola sola? Si può, certo... Basta dire: “Speciale”.