Morcelliana/Scholé. Ai volumi religiosi servono i 25 lettori
L’articolo di Giuliano Vigini, con i numeri che testimoniano lo stato dell’editoria religiosa, invitano alla prosaicità. Come l’editoria si dice in più modi (editoria di cultura, editoria per il largo pubblico, etc.), lo stesso vale per l’editoria cattolica: nelle sue varie declinazioni, va dove vanno tutte le altre. Se ci si vuole soffermare sull’editoria cattolica di cultura – rivolta a un pubblico di per sé ristretto –, essa risente del progressivo assottigliamento della propria base di lettori: assottigliamento che investe il tema della formazione delle élite intellettuali, non solo religiose, nell’età di internet. Un problema internazionale: basti guardare in Francia (cfr. il caso delle Editions du Cerf ) o in Germania (cfr. il caso Herder Verlag), o negli Stati Uniti, dove i libri di scienze bibliche e religiose sono per lo più pubblicati da University Presses.
E questo - un vero e proprio paradosso quando le religioni hanno ripreso cittadinanza pubblica. Fare editoria di cultura– che è uno dei modi possibili d’essere editori – significa cercare un difficile compromesso tra plusvalore simbolico dei libri e bassa redditività economica di certi titoli che non puoi non pubblicare se vuoi fare quel tipo di editoria. Libri che hanno un senso solo sul lungo periodo e quindi di per sé sempre “inattuali”. Un esempio? I testi di Ernst-Wolfgang Boeckenfoerde, il cui “dilemma” è inaggirabile per capire qualcosa della crisi delle democrazie contemporanee. O per stare ai classici, le collane di Biblistica e di Patristica – vero patrimonio dell’editoria cattolica italiana.
Ma la storia dell’editoria di cultura, letta con disincanto sul lungo periodo, non è sempre stata un frag ilissimo equilibrio di bilancio economico e catalogo di qualità? Con la consapevolezza che la tradizione cattolica – essa stessa plurale – implica “inventio veritatis”: un invito a “spes contra spem”. Forse, non restano che le virtù della fortezza e della speranza come abiti dell'editore. Nella consapevolezza che se un libro di narrativa deve almeno avere, con Manzoni, 25 lettori, un libro di saggistica religiosa deve avere almeno 71 lettori, cifra simbolica, con Paolo De Benedetti, per il pareggio dei costi. Come se per gli editori religiosi in ogni libro, oggi, fosse in gioco il senso stesso del loro esistere, e fossero luogotenenti della “biblodicea”, quale scienza che giustifica il lavoro editoriale.
Resta il problema del destino delle librerie religiose: una emergenza istituzionale, verrebbe da dire. È pensabile un sussulto di imprenditorialità cattolica che pensi a un loro rilancio e ne scongiuri la progressiva chiusura? Si possono fare le più belle traduzioni dei classici della tradizione cristiana, ma se non si vedono e sfogliano in libreria chi le acquisterà? Le librerie on line mai potranno sostituire la relazione fisica con queste opere, condizione prima per essere desiderate. E non c’è da sperare che le grandi catene librarie laiche siano sensibili a questi libri, data la sproporzione tra valore culturale e redditività libraria. Le si potrebbe chiamare “librerie del settantunesimo lettore”, dove la redditività potrebbe essere garantita anche da condizioni materiali – per esempio, gli affitti dei locali – facilitate dalle diocesi, che abbondano di edifici… Sarebbe un sussulto di sussidiarietà e di lungimiranza.
*Direttore editoriale di Morcelliana e Scholé