«Io volli commettere un furto e lo commisi senza esservi spinto da indigenza alcuna, se non forse dalla penuria e disgusto della giustizia e dalla sovrabbondanza dell’iniquità. Mi appropriai infatti di cose che già possedevo in maggior misura e molto miglior qualità; né mi spingeva il desiderio di godere ciò che col furto mi sarei procurato, bensì quello del furto e del peccato in se stessi. Nelle vicinanze della nostra vigna sorgeva una pianta di pere carica di frutti d’aspetto e sapore per nulla allettanti. In piena notte, […] ce ne andammo, giovinetti depravatissimi quali eravamo, a scuotere la pianta, di cui poi asportammo i frutti».«Venimmo via con un carico ingente e non già per mangiarne noi stessi, ma per gettarli addirittura ai porci. Se alcuno ne gustammo, fu soltanto per il gusto dell’ingiusto. Così è fatto il mio cuore, o Dio, così è fatto il mio cuore, di cui hai avuto misericordia mentre era nel fondo dell’abisso. Ora, ecco, il mio cuore ti confesserà cosa andava cercando laggiù, tanto da essere malvagio senza motivo, senza che esistesse alcuna ragione della mia malvagità. Era laida e l’amai, amai la morte, amai il mio annientamento. Non l’oggetto per cui mi annientavo, ma il mio annientamento in se stesso io amai, anima turpe, che si scardinava dal tuo sostegno per sterminarsi non già nella ricerca disonesta di qualcosa, ma della sola disonestà" (Agostino,
Confessioni II.4.9).Secoli più tardi, Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), fingendo di obliare il modello, inaugura le proprie
Confessioni con una dichiarazione perentoria: «
Je forme une entreprise qui n’eut jamais d’exemple, et dont l’exécution n’aura point d’imitateur. Je veux montrer à mes semblables un homme dans toute la vérité de la nature, et cet homme, ce sera moi» (I.1); quell’uomo – tra i ricordi d’infanzia – annota un tentativo di furto di mele («
Une chasse aux pommes qui me coûta cher) che finisce male e proprio lì chiede la complicità del lettore : «
Lecteur pitoyable, partagez mon affliction».Il modello agostiniano è ben presente, ma rovesciato: l’uno evoca il peccato per la Misericordia che vi trovò, l’altro per esercitarvi quella compensazione che è la giustizia: «
Je trouvais que voler et être battu allaient ensemble, et constituaient en quelque sorte un état». Nel ripetere l’atto, Rousseau si compiace della perfetta riuscita reciproca: il furto delle mele e i colpi che meritava dal precettore erano su un piano di reciproca efficacia: il buon esito dell’uno invocava il simmetrico prodursi degli altri; così deve funzionare una società ben regolata.Con Agostino (Tagaste, oggi Algeria, 354 – Ippona, 430) entra in scena il soggetto che interroga narrandosi; in una scelta inaudita per l’uomo biblico: e cioè che narrare di sé meglio illustri la gloria di Dio che deducendola dalla perfezione dei cieli: «
Coeli enarrant gloriam Dei» (Ps. XVIII). L’Umanesimo nasce con le
Confessioni e Petrarca lo ribadirà con il proprio
Secretum: l’uomo non contempla più l’Onnipotenza, ma provoca – saggiando e scavando dentro di sé – la Misericordia: «E mi introdurrò nella mia stanza segreta, ove cantarti canzoni d’amore fra i gemiti, gli inenarrabili gemiti che durante il mio pellegrinaggio suscita il ricordo di Gerusalemme nel cuore proteso in alto verso di lei, Gerusalemme la mia patria, Gerusalemme la mia madre, e verso di te, il suo sovrano, il suo illuminatore, il suo padre e tutore e sposo, le sue caste e intense delizie, la sua solida gioia e tutti i suoi beni ineffabili, e tutti simultanei, perché unico, sommo, vero bene. Non me ne distoglierò, fino a che nella pace di quella madre carissima, dove stanno le primizie del mio spirito, donde traggo queste certezze, tu non abbia adunato tutto ciò che sono da questa deforme dispersione, per formarlo e fermarlo definitivamente in eterno, o Dio mio, misericordia mia» (
Confessioni XII,16.23).Rousseau fonda invece un’altra modernità, nella quale siamo ancora avvolti: tale che alla mancanza possa rispondere la riparazione («I miei amici, o sedicenti tali, mi scrivevano lettere su lettere per esortarmi a venire a mettermi alla loro testa, assicurandomi di una pubblica riparazione da parte del Consiglio»,
Confessions, lib. XII); che il «contratto sociale» porti rimedio alla difettività dei singoli. Ma siccome ciascuno non è che limite, Rousseau ha bisogno (come tutti i «novatori» che lo seguiranno) di un «popolo nuovo», non logorato dagli usi e dalle Leggi, ch’egli aveva individuato nei Corsi: «Avevo parlato dei Corsi, nel
Contratto sociale, come d’un popolo nuovo, il solo in Europa che non fosse snervato dalla legislazione; e avevo sottolineato la grande speranza che si doveva riporre in un tal popolo, se esso avesse avuto la fortuna di trovare un avveduto precettore» (ivi, lib. XII).Quanto i dittatori del XX secolo hanno cercato (anche senza aver letto Rousseau) il «casticismo» – dalla Spagna, alla Germania, alla Russia – di un popolo redento: purificato dalle «purghe», temprato attraverso le persecuzioni interne e gli stermini dello «spurio»! Impuri, sant’Agostino ci ha rinnovati in quel che siamo: debolezza e incostanza, miseria e slancio, peccato e sogno, desiderio che suscita il perdono: «Ti comprenderò, o tu che mi comprendi; ti comprenderò come sono anche compreso da te; […] poiché tu, Signore, benedici il giusto, ma prima lo giustifichi quando è empio. Quindi la mia confessione davanti ai tuoi occhi, Dio mio, è insieme tacita e non tacita. Tace la voce, grida il cuore, poiché nulla di vero dico agli uomini, se prima tu non l’hai udito da me; e tu da me non odi nulla, se prima non l’hai detto tu stesso» (
Confessioni, X,1,1 – 2,2).Così egli è stato celebrato, nei secoli, per aver fondato tanti generi, per aver misurato il valore del tempo, la potenza della memoria, il fascino della parola; ma forse il suo lascito più prezioso è la coscienza dell’umano: il palpito di quest’«apprensione» che ci mette all’ascolto e in cammino: «Perciò farò la mia confessione non alla tua sola presenza, con segreta esultanza e insieme apprensione, con segreto sconforto e insieme speranza; ma altresì nelle orecchie dei figli degli uomini» (
Confessioni, X,4,6).In fondo, il segno che ci lascia l’unica traccia che abbiamo tra le mani, la scrittura della Bibbia, è proprio tale: non certezza di verità, sì da dover giudicare; non sconforto d’impotenza, sì da dover sempre temere; ma quella «apprensione» di letizia che ci fa tremare ed esultare: così, meditando san Paolo, «mi apparve l’unico volto delle espressioni pure e imparai a esultare con apprensione. Iniziata la lettura, trovai che quanto di vero avevo letto là [
scil.: nella Legge], qui è detto con la garanzia della tua grazia, affinché chi vede non si vanti, quasi non abbia ricevuto non solo ciò che vede, ma la facoltà stessa di vedere. Cos’ha infatti, che non abbia ricevuto?» (
Confessioni, VII,21,27).
Et exultare cum tremore didici: è tutta la nostra sapienza.