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Cinema. Addio Trintignant, l'ultimo sorpasso della star più timida

Massimiliano Castellani sabato 18 giugno 2022

Jean-Louis Trintignant con Vittorio Gassman nella celebre scena de “Il sorpasso” di Dino Risi del 1962

«Fare l’attore non è il mestiere ideale. Un giardiniere è senz’altro più felice ma è anche pagato meno bene», parola di Jean-Louis Trintignant, che con la sua proverbiale discrezione è volato via, a 91 anni, nel mondo dei più. «Era un suo parente?», chiede il carabiniere a Bruno Cortona ( Vittorio Gassman) nella tragica scena finale de Il sorpasso di Dino Risi. «Si chiamava Roberto, il cognome non lo so. L’ho conosciuto ieri mattina... », risponde Bruno alla fine di quel mitico e primordiale road movie ferragostano. Quel film compie sessant’anni, e allora, il ruolo del giovane studente in giurisprudenza timido e annoiato («a me piacerebbe il diritto spaziale», lo provocava il mattatore Gassman) calzava alla perfezione a Trintignant, che, subentrato, a riprese in corso, al connazionale Jacques Perrin (morto il 21 aprile, ndr) fece del personaggio di Roberto un must interpretativo indelebile.

Il pubblico, specie quello femminile, era estasiato da quell’aurea aristocratica che, il figlio di una famiglia di imprenditori provenzali (i Trintignant di Piolenc) trasmetteva in maniera davvero nobile sul grande schermo, dove il battesimo era avvenuto nel 1956 con il film Piace a tutti. E Dio creò la donna, di Roger Vadim. Debutto col botto affianco alla fidanzata di Francia, il sex symbol Brigitte Bardot. Una delle sue tante conquiste amorose che poteva ritrovare nella memoria sfogliando l’album dei ricordi, magari seduto davanti al camino nelle lunghe serate tra- scorse nel rifugio di Uzés. Una casa elegante e malinconica, come l’indole di questo istrionico attore che per Alain Delon è stato «un altro fratello, come Belmondo».

Il Presidente della Francia Emmanuel Macron rende omaggio a «un formidabile talento artistico». Un talento che deve tanta della sua fortuna al cinema italiano. E riconoscente, questo lo raccontava ad André Asséo nella sua biografia dal titolo pessimistico, quasi “noir”, Alla fine ho deciso di vivere (Mondadori). Il primo cineasta italiano a credere in Trintignant è stato quel genio un po’ dimenticato di Valerio Zurlini che lo volle in Estate violenta nel ruolo di Carlo Caremoli: il figlio di un gerarca fascista che, nell’estate bellica del ’43, grazie all’intercessione del padre viene esentato dal servizio militare. Cosa che nella realtà non era uscito a evitare e, anzi, per servire la patria in Algeria aveva dovuto lasciare il cinema.

Tolta la divisa, sulla spiaggia di Riccione il giovane Trintignant dimenticò la guerra e poi con Il sorpasso ritrovò quella “joie de vivre” dell’uomo alla ricerca del tempo perduto. La coppia con Gassman proseguì l’anno dopo quando giraronoIl successo di Giulio Morassi. Pellicola che smentì ampiamente il titolo e nonostante la “regia ombra” di Dino Risi fu un autentico fiasco. Ma il flop non affievolì l’entusiasmo e l’innamoramento di Trintingnant verso il nostro Paese. «Gli italiani sono artisti. Sono persone così raffinate, espansive, piene di ironia... Il cinema italiano era tutto così dinamico, così interessante. Il suono invece era un elemento assolutamente trascurato. Non so perché, ma se ne infischiavano. Anche Federico Fellini girava senza sonoro».

Successo personale assai sonoro ottenuto con Un uomo, una donna( 1966) di Claude Lelouch, il regista divenuto amico fraterno che gli assegnò il ruolo di un pilota, ben sapendo che era il nipote di quel Maurice Trintignant asso della Formula 1. Nel sequel Les plus belles années d’une vie Lelouch fa ritrovare a Trintignant Anouk Aimée, alla quale in una scena confida nostalgico: «Da giovane ero carino sa?». Da giovane era considerato il “Marcello Mastroianni d’Oltralpe” e con il Marcello nazionale nel 1975 lavorò ne La donna della domenica di Luigi Comencini, tratto dall’omonimo romanzo dei nostri scrittori “più francesi”, la premiata ditta Fruttero e Lucentini.

I quali, avrebbero potuto scrivere la sceneggiatura della “proposta apocrifa” che il regista Giulio Questi – uno dei più originali e stravaganti cineasti che abbiamo avuto, purtroppo caduto nell’oblio – fece a Trintignant. «Giulio Questi è un genio. Non leggere nemmeno la sceneggiatura. Fai il film. Firmato: Valerio Zurlini», è il testo della lettera che lo stesso Questi aveva inviato, a firma di Zurlini, per convincere l’attore francese a recitare in La morte ha fatto l’uovoper poi rivelargli a riprese finite: «Lo so che Zurlini ti ha parlato bene di me, infatti sono stato io a inviarti quel telegramma!».

L’Italia ha insegnato all’ombroso Jean-Louis l’unica arte in cui da giovane era carente, quella della sdrammatizzazione. L’ironia e la risata grassa glie la suscitò Sergio Corbucci, con cui fece Il grande silenzio, ma anche Pasquale Festa Campanile che lo diresse ne La Matriarca. Entrambi film di un ’68 tutto italiano per Trintignant che, dopo la parentesi con Costa Gavras in Z - L’orgia del potere, tornò da noi chiamato da Giuseppe Patroni Griffi per il ruolo da protagonista – con lo straordinario Lino Capolicchio che ci ha appena lasciati – in Metti una sera a cena. Trintignant con la sua cifra inimitabile ha sempre dato un valore aggiunto a tutti i film in cui ha lavorato. E se fosse ancora qui sicuramente ne darebbe conferma Bernardo Bertolucci, il quale il primo grande tributo internazionale lo ottenne nel 1970 con Il conformista. Trintignant ci mette l’anima in quel film, ma il timbro drammatico e la «prostrazione» erano autentici, dovuti alla “morte bianca” della figlia Pauline.

Avrebbe voluto mollare il set e sparire dalla terra, ma il calore dell’abbraccio fraterno di Bertolucci lo fece tornare sui suoi passi e a distanza di anni confessava: «Quella è stata probabilmente la mia migliore interpretazione al cinema». Struggente come in Amour di Michael Hanek: il suo film “testamento esistenziale”, con annesso acceso dibattito sul fine vita, quando nel 2013 uscì nelle sale. Ma il film «testamento cinematografico», Trintignant riteneva di averlo girato quarant’anni prima, e sempre in Italia, con La terrazza (1980) di Ettore Scola. «Un film «incompreso, sia in Italia che in Francia » lamentava, in cui con orgoglio rivendicava l’esperienza unica di aver recitato al fianco dei più «grandi attori della commedia all’italiana. Mancava solo Sordi (mai conosciuto, ma lo considero uno dei più grandi attori esistiti), ma c’erano Tognazzi, Gassman e Mastroianni».

E il testamento forse è scritto proprio in quel cast: «Ecco, è tutto finito. Il genere di commedia che abbiamo tanto amato, si è esaurito», disse tristemente nostalgico. Ma la gioia di vivere in Trintignant si era spenta ben prima dell’ultimo respiro di ieri. Il 1° agosto del 2003 la sua adorata primogenita Marie venne uccisa, massacrata di botte dal cantante Bertrand Cantat. Dopo questo tragico omicidio che ha insanguinato per la seconda volta il suo cuore di padre stavano per calare i titoli di coda di una carriera con oltre 120 film e centinaia di repliche in teatro. Ma è stato proprio il teatro a tenerlo in vita così a lungo e ogni volta che andava in scena ripensava a quella sera con sua figlia: «Con Marie ci ascoltavamo a vicenda e lei ha recitato tutto il testo piangendo... Io ero scioccato e così ho recitato in modo completamente diverso». Giù il sipario Trintignant, ultimo sorpasso a questa vita, è arrivato il tempo di riabbracciare Pauline e Marie.