Chissà se Rita Levi Montalcini, mentre stava ricevendo il prestigioso Nobel per la medicina dalle mani del re di Svezia, avrà pensato ai suoi trascorsi di studentessa e soprattutto a quel suo professore che aveva definito «delle grandi porcherie» i suoi «preparati» e che le aveva pronosticato un futuro fuori dai laboratori perché a suo parere l’allieva Rita Levi Montalcini non era assolutamente tagliata per la ricerca. Ma non sempre le previsioni degli insegnanti si rivelano giuste e infatti Rita Levi Montalcini, che per qualche tempo aveva cullato il sogno di diventare scrittrice, si trovò proiettata nell’olimpo dei grandi scienziati. Nata a Torino il 22 aprile del 1909, Rita si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Università di Torino, dove seguì le lezioni dell’istologo Giuseppe Levi e strinse amicizia con Salvador Luria e Renato Dulbecco, anch’essi futuri Nobel per la medicina. Conseguita la laurea nel 1936 si specializzò in neurologia e psichiatria, ma a causa delle leggi razziali dovette emigrare in Belgio. Ritornò a Torino nel 1940 e mentre intorno spiravano venti di guerra allestì nella sua camera un piccolo laboratorio per continuare le sue ricerche sul sistema nervoso, «una giungla impenetrabile – come l’avrebbe poi definita – più affascinante di una foresta vergine». E nel suo piccolo laboratorio la raggiunse lo stesso Levi, costretto a lasciare il Belgio invaso dai Nazisti.Non furono anni facili. Rita dovette compiere numerosi trasferimenti portando però sempre con sé il suo piccolo laboratorio. Trovò anche il tempo di esercitare la professione di medico in un campo profughi di Firenze e nell’autunno del 1947 si trasferì negli Stati Uniti dove, a Saint Louis, riprese le ricerche che in seguito la portarono a scoprire il
Nerve Growth Factor (Ngf). «Prima della sua scoperta – dichiarò Rita Levi Montalcini – io sapevo che esisteva e che da qualche parte doveva essere». E l’11 giugno del 1951 arrivò la conferma, «fatta quasi per caso in laboratorio», che nel 1986 le frutterà il prestigioso premio Nobel per la medicina, fino ad allora assegnato solamente a tre scienziate.La scoperta della Levi Montalcini, oggi alla base della moderna neurobiologia, ha rivoluzionato il concetto di cervello, un tempo ritenuto un organo straordinariamente complesso ma incapace di modellarsi, di adattarsi e anche di rigenerarsi. La Ngf è una proteina dalle potenzialità straordinarie e le sue applicazioni sono legate oggi alla cura dell’Alzheimer e della sclerosi multipla.Ma questa proteina non si è rivelata utilissima solo nell’ambito del sistema nervoso. Recentemente, infatti, il Ngf è stato inserito in un collirio in grado di arrestare il decorso del glaucoma. Nel 2005, infine, Ngf e i suoi legami con lo stress sono stati studiati sul nostro astronauta Roberto Vittori durante la sua permanenza nella Stazione Spaziale Internazionale. Il Ngf è stato definito anche la «molecola degli innamorati» perché, a quanto sembra, questa proteina sarebbe presente in maggior quantità all’inizio della fase dell’innamoramento.Rita Levi Montalcini ha dedicato tutta la sua lunga vita alla causa della scienza, ma il lavoro scientifico non le ha impedito di prendere parte attiva alla vita sociale. Nominata da Carlo Azeglio Ciampi senatore a vita «per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale», fu anche socia della Accademia dei Lincei, socia fondatrice della Fondazione Idis-Città della Scienza e prima donna ad essere ammessa alla Pontificia Accademia delle Scienze.Dopo aver collaborato al Cnr nel Centro di ricerche di neurobiologia e nel Laboratorio di biologia cellulare, nel 2001 fondò e guidò l<+corsivo>’European Brain Research Institute<+tondo> (Ebri), un centro di ricerca per lo studio del funzionamento del cervello e delle sue funzioni cognitive e comportamentali perché, come ebbe a dichiarare la studiosa, «indagare la natura della coscienza è un problema che ha preoccupato l’uomo sin da quando è stato consapevole di esserne in possesso».In anni recenti aveva fatto discutere la sua presa di posizione contro la legge 40 sulla procreazione assistita e per l’affermazione della libertà di ricerca. Nata da una famiglia ebraica, si considerò sempre atea ma il suo fu un ateismo
sui generis. Dichiarava, infatti, di credere nello stesso Dio in cui credeva anche Einstein, il Dio di Spinoza, e il suo credere coincideva con un modo di intendere la vita basato essenzialmente su solidi principi etici. Fino alla sua morte (avvenuta il 30 dicembre scorso a Roma, all’età di 103 anni) Rita Levi Montalcini ha sempre lavorato, coerente con il suo stile di vita. Sarà tumulata a Torino, nella tomba di famiglia, dove riposerà accanto alla sorella gemella Paola, pittrice, con la quale, per onorare la memoria del padre, istituì nel 1992 la Fondazione Levi Montalcini che conferisce borse di studio a studentesse africane per creare una classe di giovani donne in grado di guidare la vita scientifica e sociale dei loro Paesi.