Boxe in lutto. Addio al mito Jake LaMotta
«Sono il più forte, il più forte, il più forte...». È il mantra recitato davanti allo specchio nello spogliatoio del “pugile” Robert De Niro, nel film Toro scatenato di Martin Scorsese, la cui interpretazione del campione Jake LaMotta gli valse l’Oscar di migliore attore del 1981. Una pietra miliare del cinema il biopic di Scorsese, certamente supportato dalla straordinaria biografia del “Toro del Bronx”, LaMotta. Il re dei pesi medi ieri si è spento alla bella età di 95 anni a New York, città in cui era nato nel 1922 da padre messinese che lo aveva registrato all’anagrafe come Giacobbe La Motta. Un’infanzia come tanti dei figli di “paisà” sbarcati nella Grande Mela: lotta alla povertà e pugni in faccia tutti i giorni nelle risse di strada e a scuola, dove venne riformato e poi rinchiuso in prigione.
La boxe lo salvò dalla fame e da altre violenze. L’ingresso nel pugilato avvenne nel 1941 e nel ’49 LaMotta conquistò la corona di campione del mondo dei medi a Detroit, contro il francese Marcel Cerdan, che era il campione in carica, noto anche per la sua relazione amorosa con la cantante Edith Piaf. Il match di rivincita, previsto per il 2 dicembre del ’49, venne annullato a causa della tragedia aerea del Lockheed Constellation della Air France (si schiantò alle Azzorre) in cui morirono tutti e 48 i passeggeri e tra questi c’era anche Cerdan. Ma a quella sfida con il francese LaMotta era arrivato con l’inganno, come poi denunciò una volta appesi i guantoni al chiodo. Nel 1960 chiamato a testimoniare davanti alla sottocommissione del Senato americano il “Toro del Bronx” si scatenò. LaMotta denunciò le pressioni e le combine orchestrate dalla malavita confessando di aver perso il suo incontro contro Billy Fox (nel 1947) per volere e sotto minaccia della mafia, per avere poi la possibilità di essere nominato sfidante ufficiale di Cerdan per il titolo mondiale. LaMotta dopo quel match con Cerdan difese due volte il titolo, prima contro Tiberio Mitri e in seguito con Laurent Dauthuille, battendoli entrambi. In carriera affrontò 106 incontri da professionista con 83 vittorie (30 per ko), 19 sconfitte e quattro pareggi. Ma il suo match epico fu quello del 14 febbraio 1951: l’attesissimo sesto incontro LaMotta-Sugar Ray Robinson (il pugile di colore aveva prevalso su quattro dei cinque precedenti) passò alla storia del pugilato come «il massacro di San Valentino». Robinson vinse per ko tecnico al 13° round. Quando l’incontro venne interrotto LaMotta era sfinito, ma rimase aggrappato alle corde, in piedi, come sempre. Il vanto di una vita in fondo fu poter dire fino all’ultimo gong: «Nessuno è mai riuscito a mandarmi al tappeto... A parte le mie sei mogli».
«Riposa in pace, campione»: con queste parole Robert De Niro ha commentato la morte di Jak LaMotta, la cui vita aveva reso leggendaria nel film Toro scatenato (nella foto sotto)