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Il lutto. Addio ad Alain Delon, leggenda del cinema francese

Fulvio Fulvi lunedì 19 agosto 2024

Alain Delon è morto a 88 anni

Era un uomo dal fascino bruciante come è stata tutta la sua carriera cinematografica, durata più di mezzo secolo. Uno straordinario talento interpretativo, il suo, tagliato soprattutto per ruoli drammatici, da gangster, killer o poliziotto fuori le righe, quasi sempre personaggi ambigui ed enigmatici e dal carattere ruvido come quello che gli accreditavano fuori dal set amici e colleghi. Alain Delon si è spento nella mattina di domenica 18 agosto dopo una lunga malattia, nella sua residenza di La Brûlerie, a Douchy, nella Valle della Loira. Aveva 88 anni. Con l’attore francese se n’è andata una leggenda del cinema, protagonista di un’ottantina di film, due dei quali portano la sua firma anche come regista e sceneggiatore. L’esordio risale al 1957: in "Godot" di Yves Allégret è un giovane sicario che fa innamorare una ragazza ma finisce morto ammazzato. Bello e maledetto, come un marchio di fabbrica, che lo segnerà per gran parte del percorso artistico, e della vita personale. Tre anni dopo il debutto sul grande schermo sarà infatti il suadente truffatore e omicida Tom Ripley in "Delitto in pieno sole", di René Clément, dal celebre romanzo di Patricia Highsmith: un successo. Nel 1961 lo stesso regista francese - due volte Premio Oscar, per Le mura di Malpaga (1949) e Giochi proibiti (1952) - lo chiama a interpretare un giovane che prima si arruola nei fasci di combattimento e poi diventa un attivista anarchico in Che gioia vivere. Ancora “angelo e diavolo”. Ma Luchino Visconti rimodella il suo cliché su un registro più delicato, benché ancora misterioso e cupo, con il personaggio centrale di Rocco e i suoi fratelli, lanciandolo così nel firmamento del cinema internazionale, oltre i confini d’Europa. Nel 1963 il grande e raffinato regista italiano gli permetterà di uscire dallo schema del personaggio tormentato e tenebroso chiamandolo a interpretare il conte Tancredi Falconeri, aristocratico di nascita e garibaldino per scelta, nel Gattopardo, ingentilito al fianco di una candida Angelica, Claudia Cardinale. È Delon che pronuncia, nel film, l’emblematica frase: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi», diventata un modo di dire sempre attuale, anche in politica.

Alain Delon con Claudia Cardinale ne "Il Gattopardo" - Ansa

Nato nel 1935 a Sceaux, un piccolo borgo nella regione dell'Île-de-France da una famiglia disastrata, quando i genitori si separarono Alain, figlio unico, trascorse l’infanzia e l’adolescenza in collegi dai quali fu spesso espulso per atti di intemperanza e ribellione. Visse per strada, come un barbone, finché non decise di entrare nella Marina militare francese. In seguito, per tre anni, fece il paracadutista in Indocina. Tornato a Parigi, l’industria del cinema si “impossessò” di lui, come raccontava: «Non sono stato io a scegliere di fare l’attore, sono stato catturato da registi e produttori per la mia bellezza selvaggia che piace alle donne». Ma si dimostrò subito bravo. Dopo i primi successi i produttori di Hollywood gli offrirono contratti milionari ma lui rifiutò sempre perché voleva rimanere nella sua amata Francia. E così ha fatto per tutta la vita, nonostante il rapporto privilegiato con l’Italia (la nonna paterna, peraltro, era nata a Cassino). Lo ricordiamo infatti in L’eclisse (1962) di Michelangelo Antonioni, con Monica Vitti, e in La prima notte di quiete (1972) di Valerio Zurlini, con Lea Massari, due drammi incentrati su complicati rapporti di coppia. Le donne, in effetti, sono state uno dei “crucci” di Alain nella vita privata: ebbe tre mogli e diverse liason quasi sempre turbolente e al centro di gossip. «Sono tre le cose che faccio bene – ricordava – il mio lavoro, le scemenze e i figli».
Di lui resta l’immagine del criminale elegante e spietato, interpretato in Frank Costello, faccia d’angelo (1967) di Jean-Pierre Melville e in Borsalino (1970) di Jacques Derey, nel quale recita nello stile di James Cagney a fianco di Jean-Paul Belmondo, suo amico e “rivale” anche fuori scena. I due mostri sacri del cinema francese furono messi insieme sul set per la prima volta nel 1958 da Marc Allégret in Fatti bella e taci. «Abbiamo solo due piccoli ruoli, ma Alain ha il suo nome scritto un po’ più grande del mio sul manifesto, osservò Belmondo con malizia. Ai funerali dell’amico, nel settembre del 2021, Delon era malato e si presentò camminando con le stampelle.
Tra le sue migliori interpretazioni, nelle quali emerge più profondamente la sua vena drammatica, quella nel film L’evaso (1971, per la regia di Pierre Granier-Deferre), sostenuto da una superba Simone Signoret (è la storia, tratta da un romanzo di Georges Simenon, di un detenuto per omicidio che scappa dal carcere e va a lavorare nella fattoria di una vedova che si innamora di lui) e quella dello scrittore in disarmo nel thriller La piscina (1969) di Jacques Deray, torbida vicenda dove spicca, per bellezza e bravura, Romy Schneider, a quel tempo un grande amore dell’attore anche fuori dal set.
Negli ultimi anni di vita la depressione lo portò all’orlo del suicidio. Ma «è morto serenamente», sottolineano in un comunicato congiunto i tre figli. Tutta la Francia è in lutto. «Più che una star, è un monumento» ha dichiarato il presidente Macron. Per sua volontà non ci saranno funerali solenni, dichiarò di non gradire alcun tributo nazionale alla sua morte. Ci saranno esequie private. Sarà sepolto nel giardino di casa, accanto alle tombe dei suoi cani.