Teatro. Addio a Glauco Mauri, il grande vecchio del teatro italiano
Glauco Mauri nel 2012 in "L'ultimo nastro di Krapp" di Beckett
Da settant’anni sulla scena, Glauco Mauri si è spento durante una tournée teatrale, come accadde a un altro gigante del palcoscenico, marchigiano come lui, il fanese Ruggero Ruggeri, che portava l’Enrico IV e Tutto per bene di Pirandello in giro per l’Europa e, dopo i trionfi di Londra e Parigi, fu costretto a tornare in Italia e cancellare gli impegni perché colpito da un malore che gli risulterà mortale.
Mauri avrebbe dovuto interpretare nell’ultimo week-end al Vascello di Roma un testo di Oscar Wilde, il De profundis, ma alla vigilia della prima si è sentito male e ha dovuto annullare lo spettacolo con il quale aveva debuttato il 20 settembre proprio nella sua Pesaro, al Teatro Rossini, sul cui palco, ancora ragazzino, mosse i primi passi da attore. Se n’è andato nella notte tra sabato e domenica a un anno di distanza dalla scomparsa di Roberto Sturno, con il quale aveva stabilito un sodalizio artistico durato oltre quarant’anni portando al successo capolavori della letteratura teatrale di tutti i tempi.
È stata una splendida vecchiaia quella di Glauco Mauri, che avrebbe compiuto 94 anni il 1° ottobre: fino all'ultimo non ha mai smesso di recitare nonostante gli acciacchi dell'età avanzata. Era stanco e affaticato ultimamente, tanto da dover interpretare il Re Lear sulla carrozzina: come lui Salvo Randone, altra leggenda del teatro italiano, che interpretò un profondissimo Pensaci Giacomino, nel 1986, prima di morire, sempre seduto su una sedia. "Glauco era una persona semplice, con un'umanità rara, introverso, timidissimo, stava tra sé e sé anche nella vita, era un tipo solitario, come sono gli attori di teatro - ricorda Gabriele Lavia -, ma quando stava lì, non ce n'era per nessuno! Anche Strehler lo diceva".
Nell’ultima intervista Mauri raccontava dell’intenzione di mettere in scena l’opera di Wilde: “Ho ritrovato in casa mia la prima edizione italiana del De Profundis, del 1948 e ho deciso di interpretarla: sarò un pazzo ma voglio recitarla da solo, il primo comandamento di questi miei lunghi anni di carriera è sempre stato quello di fare le cose in cui credo davvero, anche a costo di rinunce importanti, e ci tenevo a intraprendere questa nuova avventura proprio partendo dalla mia città”.
Glauco Mauri entrò all’Accademia d’arte drammatica a 19 anni e imparò a fare teatro da Orazio Costa e Sergio Tofano. Debuttò sul palcoscenico appena terminati gli studi, nel 1953, interpretando il personaggio del portiere in Macbeth di Shakespeare ma si afferma nella successiva stagione nel ruolo di Smerdjakov in una riduzione dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij per la regia di Memo Benassi. E questa parte rimarrà uno dei suoi cavalli di battaglia in tutta la carriera. Sarà poi chiamato a far parte della compagnia Albertazzi-Proclemer prima di fare gruppo con il regista Franco Enriquez, Valeria Moriconi, Mario Scaccia (poi sostituito dallo scenografo Lele Luzzati), nella Compagnia dei Quattro. È stato protagonista dell’Orestea di Eschilo diretto da Luca Ronconi. Nel lsuo repertorio autori classici come Sofocle, Shakespeare, Goldoni, Moliére, Cechov, ma anche moderni come Beckett, Mamet e Ugo Betti.
Mauri ha lavorato spesso anche nel cinema, richiesto da grandi registi: con Marco Bellocchio ha fatto La Cina è vicina (1967), con Liliana Cavani L’ospite (1971). Ma viene ricordato in particolare per aver interpretato il ruolo del professor Giordani in Profondo Rosso (1975) di Dario Argento, un parapsicologo che finirà orrendamente ucciso da un pupazzo elettronico. Infine, è stato il padre di Nanni Moretti in Ecce bombo (1978), che finisce per essere preso a schiaffi dal figlio col quale cercava di entrare in dialogo senza riuscirci. Tra i numerosi personaggi in sceneggiati tv si ricordano Christian ne I Buddenbrock (1971) nella versione di Edmo Fenoglio, il finanziere Graubber in Il giudice e il suo boia (1972) diretto da Daniele D’Anza.
Nel dicembre del 2023 è stato pubblicata la sua autobiografia "Le lacrime della Duse. Ritratto di un artista da vecchio", in cui con leggerezza e sincerità l'attore e regista racconta la sua lunga e ineguagliabile carriera: "Vorrei fosse chiaro che non mi servo della vita per parlare di me ma uso me stesso per parlare della vita.
Ho più di novant'anni e ho sempre cercato di stare con le antenne della mente e del cuore ben vibranti, per tentare di comprendere qualcosa della grande avventura del vivere. A quindici anni sono salito, per la prima volta, sopra un palcoscenico, poi per settantadue ho dedicato la mia vita al teatro. Luci e ombre, successi e fallimenti e devo confessare che i secondi mi sono stati più utili".