Teologia. Addio a Berger, esegeta in sintonia con Ratzinger
Il teologo Klaus Berger
Come tutti i grandi studiosi dotati di erudizione, di acume quanto di vis polemica, Klaus Berger aveva una fitta schiera di ammiratori, ma anche di critici o meglio di antipatizzanti. Amici e nemici, per così dire, erano però concordi nell’assegnargli un posto di prim’ordine nell’esegesi contemporanea del Nuovo Testamento accanto a personaggi come Raymond E. Brown, John P. Meier o James D.G. Dunn. La sua morte, avvenuta lunedì sera per un arresto cardiaco nella sua casa di Berlino, rappresenta per tutti una grande perdita. Berger era nato a Hildesheim il 25 novembre 1940 e aveva studiato filosofia, teologia e orientalistica nelle università di Monaco di Baviera, Berlino e Amburgo. Cattolico, nel 1970 aveva ottenuto la cattedra alla Rijksuniversiteit di Leida (Paesi Bassi) e dal 1974 al 2006 aveva insegnato Teologia neotestamentaria alla Facoltà di evangelica dell’Università di Heidelberg. Nel 2005 era stato accusato di aver ottenuto quel posto avendo fatto credere di essere protestante, mentre era sempre rimasto cattolico. Il percorso di fede di Berger fu in effetti tortuoso, per diversi anni aveva pagato la tassa ecclesiastica alla Chiesa evangelica, pur rimanendo cattolico.
Il suo riavvicinamento ufficiale alla Chiesa cattolica avvenne nel 2010 quando Berger andò a insegnare nel monastero trappista di Mariawald, a Heimbach, cittadina della Germania nordoccidentale. Per quanto riguarda la sua produzione, Berger aveva attirato l’attenzione nel mondo accademico con una traduzione del Nuovo Testamento – insieme a Christiane Nord – a cui aveva fatto seguire un importante Commentario al Nuovo Testamento (in due volumi, pubblicato in italiano da Queriniana, 2011) e una Ermeneutica del Nuovo Testamento (Queriniana, 2001). Tra i libri di taglio più divulgativo il suo Gesù (Queriniana, 2006) era stato un caso, raggiungendo tirature notevoli in diverse lingue. Altre sue pubblicazioni tradotte in italiano furono Psicologia storica del Nuovo Testamento (San Paolo, 2004), I salmi di Qumran (Piemme, 1995), L’apostolo Paolo: alle origini del pensiero cristiano (Donzelli, 2003), I cristiani delle origini. Gli anni fondatori di una religione mondiale (Queriniana, 2009). Nel 2013 aveva dato alle stampe il saggio Die Bibelfälscher. Wie wir um die Wahrheit betrogen werden (I falsificatori della Bibbia. Come veniamo ingannati sulla verità) che raccoglieva esempi di storture prodotte dell’esegesi liberale.
Berger aveva apprezzato e difeso la trilogia su Gesù di Nazaret scritta da Joseph Ratzinger-Benedetto XVI e in un’intervista ad Avvenire aveva sottolineato tre messaggi di quell’opera che i biblisti avrebbero dovuto fare propri: «Primo, che l’ebraismo è lo sfondo per capire Gesù, ma molto meno l’ebraismo rabbinico rispetto a quello fra i due Testamenti. Secondo, che il Vangelo di Giovanni non va svalutato rispetto ai Sinottici; non è senza importanza dal punto di vista storico, come ancora 30 anni fa si sosteneva. Terzo, che il tema di Gesù è Dio: e questo riguarda le sue parole e le sue azioni. Gesù non è un riformatore sociale o un dispensatore di consigli per il benessere psicologico. Gesù insegna che la fede e l’adorazione hanno un’assoluta priorità nel rapporto con Dio». L’antica invocazione con cui Berger aveva sigillato il suo bestseller Gesù, quasi 700 pagine frutto di otto anni di lavoro, vale come epitaffio di una vita e di un’avventura intellettuale: O rex gloriae, Christe, veni nobis cum pace, Cristo, re della gloria, vieni e portaci la pace.