Tendenze. A volte per leggere basta guardare le figure
“Le avventure di Pinocchio illustrate da Jacovitti” (Scholé)
Primo Levi faceva risalire la sua avversione nei confronti dei ragni al ricordo infantile di una delle celebri incisioni dantesche di Gustave Doré, quella in cui, nel XII canto del Purgatorio, il poeta contempla un ritratto di Aracne. «La fanciulla che aveva osato sfidare Minerva nell’arte del tessere – si legge nell’Altrui mestiere – è punita con una trasfigurazione immonda: nel disegno è “già mezza ragna”, ed è genialmente rappresentata stravolta», con il petto al posto della schiena e le zampe che le spuntano dal corpo. Si tratta della stessa immagine riprodotta per ben due volte, prima nell’insieme e poi nel dettaglio, all’interno della rivisitazione della Divina Commedia effettuata dall’artista giapponese Go Nagai e ora pubblicata in un unico, imponente volume da J-Pop (a cura di Matteo de Marzo, traduzione di Giovanni Lapis, pagine 776, euro 29,90).
Parlare di un Dante in versione manga sarebbe davvero riduttivo, perché il lavoro di Go Nagai – uno degli inventori dei super robot che tanto hanno contribuito al diffondersi dell’immaginario nipponico nel mondo – si basa su uno studio meticoloso del repertorio di Doré e adotta di volta in volta la soluzione del calco oppure della reinvenzione. Certo, qui Beatrice ha il volto di tante eroine già viste negli anime e questo Virgilio venuto da Oriente tende ad assumere un atteggiamento molto più enfatico ed esclamativo di quanto si sia normalmente portati a immaginare. Dante non c’è tutto (l’Inferno occupa più della metà dello spazio, con una conseguente riduzione del Purgatorio e più ancora del Paradiso), ma in compenso c’è quasi tutto Doré. Ed è su questo aspetto che è bene fermarsi a riflettere. In un fondamentale saggio degli anni Settanta ( Guardare le figure, riproposto nel 2011 da Carocci) Antonio Faeti sosteneva una tesi che ancora fatica a trovare consenso.
Lungi dallo svolgere una funziona meramente ornamentale, in un’opera narrativa le illustrazioni consentono un percorso di lettura che si svolge in collaborazione, e non in conflitto, con il testo. Non per niente, Alessandro Manzoni aveva voluto supervisionare in modo tanto scrupoloso le tavole commissionate a Francesco Gonin per I Promessi Sposi del 1840, promuovendo così una sostanziale continuità fra parola letteraria e segno grafico. Quello che Manzoni aveva già intuito, insomma, è che le “figure” non soltanto integrano il racconto, ma ne costituiscono una prima e spesso indelebile forma di interpretazione. Il Dante di Go Nagai non sarebbe probabilmente piaciuto a Levi, ma in qualche maniera anche due letture tanto discordanti sono però accomunate dal fatto di discendere dall’universo visionario di Doré, che della Commedia è stato interprete non meno che illustratore. Molte delle novità uscite in queste settimane forniscono interessanti occasioni di verifica.
Prendiamo il caso di Pinocchio, classico senza tempo che si appresta a rivendicare un’ulteriore attualità grazie all’ormai imminente film diretto da Matteo Garrone. I libri da tenere letteralmente d’occhio sono almeno due. Il primo porta il marchio Scholé (pagine 288, euro 19,50), si apre con un’introduzione di Giuseppe Lupo e riproduce le immagini che l’indimenticabile Jacovitti realizzò per Le avventura di Pinocchio pubblicate da La Scuola nel 1945. Anche se mancano i proverbiali salami, il tratto del grande disegnatore è già riconoscibile, in un delicato equilibrio tra fedeltà al dettato di Collodi e l’apporto personale di una sorridente ironia destinata a imporsi con maggior evidenza nelle successive versioni del Pinocchio di Jacovitti, quella a fumetti apparsa sul Vittorioso nel 1946 e, infine, quella edita nel 1964 da Ave e ripresa di recente da Stampa Alternativa. Più complesso il caso del Pinocchio curato dall’italianista Salvatore Ferlita per il Palindromo (pagine 152, euro 15,00), dove la riscoperta del testo «rimosso» del 1881, corrispondente ai primi quindici capitoli del libro che conosciamo, è accompagnata dalle illustrazioni origi- nali e adeguatamente cupe di un giovane pittore siciliano, Simone Stuto.
Più che un burattino, il protagonista di questa Storia di un burattino è una creatura da romanzo gotico, non dissimile dal mostro di Frankenstein, precocemente imbruttita e segnata della sofferenza. Nelle intenzioni di Collodi la vicenda doveva concludersi con l’impiccagione di Pinocchio, che muore pronunciando quell’esclamazione, «Oh babbo mio! se tu fossi qui!», che per Ferlita costituisce un non inconsapevole richiamo alle ultime parole di Cristo sulla croce. Non sempre il legame tra illustrazione e interpretazione risulta così stretto, ma non per questo i risultati sono meno significativi.
Ecco allora che i preziosi disegni di Mauro Evangelista per la nuova edizione di Il principe felice e altre storie di Oscar Wilde che Bompiani affida a una piccola schiera di traduttori (pagine 252, euro 16,00) riescono a istituire una distanza suggestiva rispetto all’immaginazione dello scrittore irlandese. A maggior ragione, chiedono di essere valorizzate per la loro funzione critica, nella chiave di un’anticipazione delle istanze surrealista, le tavole che Salvador Dalí eseguì nel 1969 per il capolavoro di Lewis Carroll e che adesso vengono offerte al lettore italiano nell’edizione di Alice nel paese delle meraviglie allestita da Franco Lonati per la collana “Parola dell’Arte” di Morcelliana (pagine 138, euro 16,00). Un contributo di particolare rilevanza, questo di Dalí, perché riesce a mettere in questione e talvolta perfino a ribaltare l’impianto visivo di cui il libro tradizionalmente si avvale dal lontano 1865, quando il pittore londinese John Tenniel divenne il Doré, o magari il Gonin, di Carroll. Le illustrazioni possono riscrivere un racconto in molte maniere, ciascuna delle quali ha una sua legittimità. C’è la via, oggi molto seguita, della graphic novel, che permette a Havier Fernández e a Fanny Marín, rispet- tivamente sceneggiatore e disegnatrice, di riportare alla superficie la drammatica ambiguità di uno dei romanzi più importanti del cileno Roberto Bolaño, Stella distante (a cura di Giulia Zavagna, Sur, pagine 192, euro 20,00). L’intreccio fra parola e immagine, questa volta, permea già la trama, al centro della quale sta un aguzzino della polizia segreta che, dopo essersi infiltrato come poeta tra i giovani intellettuali di sinistra, raccoglie un’allucinante documentazione fotografica sulle stragi e sulle sevizie compiute dal regime di Pinochet.
Ma l’illustratore può anche agire come autore in proprio, come dimostra la divertita appropriazione di una delle più famose fiabe di Hans Christian Andersen da parte di Steven Guarnaccia: il suo I vestiti nuovi dell’imperatore (Corraini, pagine 32, euro 18,00) è una parodia delle ossessioni imposte dalla moda, con immagine e testo che giocano a scambiarsi di posto. Non diversamente, la revisione alla quale l’opera di Gustave Flaubert è sottoposta da Giancarlo Ascari e Pia Valentinis rende pressoché impossibile distinguere la citazione dall’imitazione. Ne deriva un Dizionario illustrato dei luoghi comuni (Centauria, pagine 120, euro 18,00) da ammirare non meno che da leggere. Perché la letteratura sarà anche l’«occupazione degli oziosi», secondo la definizione sorniona di Flaubert. Ma non è detto che un libro, «qualunque esso sia», sia «sempre troppo lungo». Guardare le figure può essere un modo per accorciare le distanze, lasciandosi guidare dal gusto e dall’intuizione. E non sempre, per fortuna, va a finire che si ha paura dei ragni. Più spesso ci si appassiona e si diventa lettori senza neppure rendersene conto.