Itinerari. A Praga con la bussola di Cardini
I ponti di Praga
Dopo le belle monografie su Istanbul e su Gerusalemme, Franco Cardini ci presenta ora un testo appassionato e appassionante su Praga ( Praga. Capitale segreta d’Europa; il Mulino, pagine 380, euro 18,00). Il testo è principalmente una storia puntuale e precisa della città dalle origini mitiche, segnate dal personaggio semidivino di Libuše, profetessa del mito fondativo della città, fin all’attualità. La monografia è una guida (con tre cartine) della città e un itinerario nella cultura praghese. La scrittura è, come sempre in Cardini, gradevole, mai noiosa e assai personale, sostenuta da una autentica verve toscana. L’autore ama indicare dei palazzi, delle piazze, quartieri, dei luoghi significativi le coordinate toponomastiche, insomma i punti cardinali che potranno essere d’aiuto ai visitatori (semmai muniti di bussola), ché il volume funge anche da raffinata guida per conoscere Praga e per incamminarsi nei suoi quartieri e località più significative.
Certo – e già il titolo lo preannuncia – parlare in Italia di Praga vuol dire confrontarsi già dalla prima pagina con un celebre capolavoro del 1973, ovvero con: «il gotico e barocco Praga magica di Angelo Maria Ripellino […]. Un libro tutto oro e nero, splendido e terribile, ammirevole e illeggibile», un libro «geniale, iperarciverboso e stranulato». E il dialogo con il grande slavista e poeta siciliano percorre come un filo rosso l’intera monografia, che si distacca tuttavia per il suo piglio storico–accademico dalla peripezia neobarocca di Ripellino. Anche Cardini ama a modo suo la “sua” Praga, che è assai più concreta (appunto: munirsi di bussola), ed è storicamente interpretata e raffigurata nei personaggi più inquietante, insistenti, come Jan Hus, l’imperatore Rodolfo, il “generalissimo” Wallenstein, Francesco Giuseppe, Carlo I e Masaryk. Ma il personaggio che più l’affascina è Mozart, Mozart a Praga, nelle sue dimore, tra cui la splendida Villa Bertramka, di cui troviamo una bella foto nell’appendice iconografica.
Al livello storico assai notevoli – soprattutto per i lettori italiani – sono le vicende religiose a cominciare con l’opera di evangelizzazione dei missionari Cirillo e Metodio per proseguire con le descrizioni dei movimenti ereticali per proseguire da quello animato da Jan Hus, finito sul rogo il 1415 al Concilio di Costanza per essersi fidato del salvacondotto imperiale. E quelle fiamme bruceranno l’intera Boemia e tutta l’Europa Centrale nella ferale Guerra dei Trent’Anni, iniziata da una delle varie “defenestrazioni” di cui nei secoli si è servita la politica boema e ceca per risolvere un po’ frettolosamente i contrasti interni. Fiamme, incendi (anche molto reali che devastarono ripetutamente la città) e strenue contrapposizioni religiose dapprima tra cattolici e hussiti e poi tra costoro e i protestanti, finché nell’Ottocento queste lotte continuarono mutando di registro. E dal 1848 furono vere battaglie tra le due etnie, con sommosse e tumulti, quella ceca in costante crescita, sia demografica sia culturale, e quella tedesca, forte dell’appoggio dello Stato e della grande tradizione culturale, ma in continua decrescita, sostenuta soprattutto dalla comunità ebraica.
In Boemia (almeno fino al 1918 era in uso questa denominazione, di stampo germanico) il confronto, spesso violento, fu anche culturale con l’orgoglioso impegno della comunità ceca di costruirsi (talvolta inventandosi) una vivacissima cultura letteraria, filosofica, intellettuale in emulazione con quella tedesca. E così si fondarono associazioni, tra cui la più famosa fu quella sportivo–culturale del Sokol, come pure sorsero un teatro ceco, una università ceca, e poi riviste, giornali, case editrici, scuole, che in pochi decenni sostennero l’Obrození, il “risveglio nazionale», dei cechi, che l’autore tratteggia con competenza e simpatia, che forse non riserva completamente alla componente germanica. Scrivendo della bella casa al centro U Minuty, tralascia di ricordare che vi abitò per diversi anni Franz Kafka, di cui per altro menziona un discorso del 4 dicembre 1912 all’Hotel Palace, che non viene registrato nella letteratura critica, mentre tralascia il discorso che Kafka tenne veramente sulla lingua yiddish il 18 febbraio 1912 al Municipio ebraico. Altre omissioni e sviste indicano una certa frettolosità per la comunità ebraica, di cui Cardini riconosce nondimeno il fondamentale contributo con accenni quasi ripelliniani: «L’anima tedesca (o, se si preferisce, austroasburgotedesca) di Praga, che pur esiste e che sprigiona un fascino struggente da ogni pietra e da ogni vicolo di Staré Mesto o di Malá Strana, è in gran parte se non soprattutto un’anima ebraica». Insomma è veramente significativo che la cultura italiana che possa vantare due libri significativi su Praga: quello “canonico” di Ripellino e quello attuale di Cardini