Agorà

Musica. A Lourdes con Muti risuonano note e fede

Pierachille Dolfini mercoledì 13 luglio 2022

Il concerto diretto da Riccardo Muti sul sagrato della basilica di Nostra Signora del Rosario a Lourdes

C’è un dolore, che ti fa male. Perché è troppo grande da sopportare. Almeno così sembra a te. Un dolore che potrebbe forse rischiare di farti dubitare, come vorrebbe il mondo, oggi impegnato a stabilire cosa sia o cosa non sia vita degna di essere vissuta. Ma è un dolore che qui a Lourdes sembra fare male solo a te. Ci pensi (e lo senti) quando due occhi, sorridenti di una felicità che non hai mai visto così intensa e piena, ti fissano, disarmanti. Lo fanno per un attimo, il tempo di far gonfiare di lacrime i tuoi. Poi subito cercano Maria. Che passa in un silenzio denso di preghiera sull’esplanade immersa nel buio della sera, quel buio che qui, però, non è ancora (e forse non lo sarà mai) il nero della notte. Arriva sul sagrato della basilica la statua della Madonna, icona della Signora che apparve a Bernadette Soubirous l’11 febbraio del 1858 alla Grotta di Massabielle, alla figlia del mugnaio. Ave Verum Corpus… le note di Wolfgang Aamdeus Mozart prendono il posto di quel silenzio. Per adorare il “corpus natum de Maria Virgine”. Un corpo, quello di Cristo presente nel pane eucaristico (che ogni giorno a Lourdes viene portato in processione), che come i tanti corpi che vedi sull’esplanade ha sofferto, «immolato sulla croce per gli uomini». Le cantano, quelle note e quelle parole, i bambini delle scuole di Lourdes e di Trabes.

E il loro si fa preghiera umanissima per chi soffre nel corpo e nello spirito. «Qui c’è il culto. Qui c’è la fede. L’ho avvertito chiaro dirigendo stasera» dice Riccardo Muti scendendo dal podio del concerto che lunedì ha portato Le vie dell’amicizia di Ravenna festival a Lourdes, prima volta di un concerto sul sagrato della basilica di Nostra Signora del Rosario, incorniciato dai mosaici di Marko Ivan Rupnik che raccontano i Misteri della luce. «Di fronte all’insensatezza della guerra non possiamo fare altro che rivolgerci a Maria » dice, a due passi dal maestro, sotto l’icona delle Nozze di Cana, Cristina Mazzavillani, anima instancabile delle Vie dell’amicizia – il concerto l’ha seguito al mixer audio, a curare la regia del suono. Abbraccia Bogdan Plish, il direttore del coro dell’Opera di Kiev che è andata a prendere personalmente ad aprile in pullmann, al confine con la Polonia, insieme a sessantatré artisti ucraini conosciuti a Kiev nel Viaggio del 2018 e ora in fuga dalla guerra. Indossano il loro costume tipico a Lourdes. E cantano i canti della loro terra i ventitré coristi ucraini, che a poche ore dal concerto hanno animato con le loro voci il Rosario recitato alla Grotta e trasmesso, come ogni sera, in diretta su Tv2000: il mottetto eucaristico Il corpo di Cristo del XIII secolo e una Preghiera alla Vergine che diventa un dialogo tra madre e figlia (Svitlana Semenyshyna e Milana Lomanova) di Hanna Havreylec, compositrice morta d’infarto tre giorni dopo l’invasione di Mosca. Così come i Chanteurs pyrénéens di Tarbes e i Chanteurs montagnardes di Lourdes alzano le loro melodie popolari in Occitano, il dialetto attraverso il quale la Madonna parlò a Bernadette.

Voci, insieme a quella del cantore basco Benat Achiary che intona una litania mariana dall’interno della chiesa, che contrappuntano il programma spirituale voluto da Muti. «Quello che vogliamo portare, attraverso la musica, è un messaggio universale, di chi prega per la pace» racconta il direttore che da ventisei anni con Le vie dell’amicizia lancia ponti di fratellanza in musica da Sarajevo a Ground Zero, dall’Iran alla Siria. Quest’anno il ponte unisce due santuari mariani, Lourdes e Loreto dove il pellegrinaggio di Ravenna festival arriva domani sera, portando la musica davanti alla basilica della Santa Casa. E il viaggio spirituale proposto da Muti (con l’orchestra Cherubini, il coro Cremona antiqua e il coro Cherubini diretti da Antonio Greco insieme ai coristi dell’Opera di Kiev) parte proprio dal sì della ragazza di Nazarteh, dalla gioia della Vergine che innalza a Dio il suo Magnificat e si compie, nella penombra della sera, con la contemplazione del dolore della stessa Maria della Mater che Stabat sotto la croce del figlio.

Lo stesso dolore dei tantissimi pellegrini (che «sono tornati, finalmente, dopo che le chiusure per la pandemia hanno gettato Lourdes in una crisi economica senza precedenti » racconta il sindaco Thierry Lavit) che ogni giorno arrivano nel santuario mariano «persone che offrono la loro sofferenza. Qui si prega per la pace nel mondo» dice il vescovo di Tarbes-Lourdes, monsignor Jean-Marc Micas. Lo stesso dolore, ma anche la stessa gioia di chi loda, nonostante tutto. E lo vedi sostando davanti alla Grotta in un pomeriggio caldo e assolato di luglio mentre risuona la preghiera del Rosario. Per chiedere il miracolo. Che non è tanto quello fisico. Ma è il miracolo della fede, del poter continuare a credere, nonostante tutto. Nonostante il dolore e la prova. Sono loro, malati e sofferenti, nel corpo e nello spirito (quel dolore che non vedi, ma che c’è, radicato nell’anima) in prima fila sull’esplanade, tra i tremila che «hanno pregato con Vivaldi, Mozart e Verdi» come sottolinea Muti. Sono lì con le loro carrozzine, con le loro barelle. Sorridenti.

La musica è per loro. Parla a loro. E parla di loro. Nel Magnificat di Vivaldi (lo cantano Arianna Vendittelli e Margherita Maria Sala) la lode a Dio che «ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili ». Gli umili che pregano a Lourdes. Irrompe la gioia di Mozart e del suo Concerto n.1 in re maggiore per corno e orchestraaffidato a Felix Klieser, musicista tedesco nato senza braccia che suona il corno con i pedi. Perché la chiamata a Lourdes è arrivata a Ravenna festival da l’Offrande musicale, rassegna ideata dal pianista di Tarbes David Fray per favorire, attraverso biglietti gratuiti e percorsi musicali negli istituti di cura e degenza, la fruizione della musica per i disabili. «Che – spiega il pianista – mettiamo tra il pubblico, non ghettizzati in un angolo». Proprio come sull’esplanade. Che si impregna del dolore di Maria con lo Stabat Mater di Giuseppe Verdi. Quando corpus morietur chiede il coro, «fa’ che all’anima sia donata la gloria del paradiso», eco delle parole della Madonna a Bernadette: «Non vi prometto la felicità in questo mondo ma nell’altro». Ecco la fede. La mette Verdi alla fine del Te Deum. «In te Domine speravi, ultima pagina scritta da un uomo in ricerca» riflette Muti mentre le note di Verdi e quelle di Mozart si sono appena spente. La statua di Maria rientra nella basilica, nella sua casa. Nel cielo brilla la prima stella che rischiara la notte. Gli occhi sono ancora pieni di lacrime, ma il dolore non fa più male.