Agorà

L'anniversario. 80 anni fa la strage di Gorla. Le bombe e la memoria

Lucia Bellaspiga domenica 20 ottobre 2024

I soccorsi scavano tra le macerie della scuola di Gorla colpita da una bomba alleata

Splendeva il sole la mattina del 20 ottobre 1944 e il cielo era terso. Troppo terso: per gli aerei Milano era un obiettivo perfettamente visibile e la maestra della scuola elementare “Francesco Crispi”, quartiere di Gorla, guardava in su con preoccupazione. «Quel mattino mia madre accompagnò me e il mio cuginetto Edoardo, che aveva 6 anni e andava in prima. Io ne avevo 7 ed ero in seconda – racconta Graziella Ghisalberti, memoria di ferro, una degli ultimi testimoni della strage di Gorla –. Incontrammo la maestra sul Ponte Vecchio che ancora oggi scavalca il naviglio Martesana e la mamma le disse che era una bellissima giornata, ma lei rispose che proprio per questo era pericoloso, poi aggiunse che i genitori avrebbero fatto bene a tenere a casa i bambini, invece di costringere i maestri ad andare a scuola...». Mancavano poche ore alla fine del mondo.

Alle 11.25 la scuola Crispi fu spazzata via insieme alla vita di 184 bimbi, tre genitori e 19 tra maestri e bidelli: 35 bombardieri americani dal ventre gonfio volarono sopra Gorla e la sua scuola (sul cui tetto era dipinta la grande croce che l’avrebbe dovuta preservare) lasciando cadere 350 ordigni, una zavorra di cui liberarsi per tornare leggeri alla base aerea di Foggia, da dove erano decollati alle 7.58. Fu un banale “sbaglio”, una «missione fallita» (come registrarono i documenti militari statunitensi), perché i veri obiettivi erano le grandi fabbriche milanesi, la Breda, l’Alfa Romeo, l’Isotta Fraschini, certo non quei bambini in grembiulino nero, ma la rotta lievemente sbagliata aveva mancato le aziende e gli aerei dovettero liberarsi delle bombe non sganciate (troppo peso rispetto al carburante per raggiungere Foggia), pazienza se sotto c’erano quei «danni collaterali». Una delle 350 bombe si infilò nella tromba delle scale della scuola proprio mentre i bambini scendevano in fila verso il rifugio.

Ciò che avvenne è descritto nelle pagine di don Ferdinando Frattino, allora giovane sacerdote, tuttora ricordato a Gorla come l’eroe che per primo scavò nelle macerie salvando alcuni piccoli: «Accorsi alla scuola. Le scale erano crollate insieme ai bambini che stavano scendendo. Gli alunni che erano arrivati prima al fondo li trovammo seduti come se dormissero». Andreina Ravanelli oggi vive a Vimercate e ha 92 anni, troppa memoria e nessuna voglia di ricordare l’evento che pose fine alla sua vita: «Suonò l’allarme e nel fuggi fuggi incontrai la mamma, che era accorsa insieme a tante altre mamme e papà del quartiere a portare in salvo i figli, la supplicai di venire a casa con me, ma lei mi chiese dove fosse Pierluigi, il mio fratellino di 6 anni che aveva appena fatto in tempo a iniziare la prima elementare... Non lo sapevo, così entrò a cercarlo e mi disse di tornare a casa che papà mi aspettava. Papà mi fece fare il segno della croce, mi prese in braccio e dalla finestra guardammo la scuola. In quel momento esplose». Il corpo della mamma fu trovato il mattino dopo, per Pierluigi ci vollero giorni, «tutto nero e con staccata la testa, lo hanno riconosciuto dalle scarpe». Un incubo che quel giorno ha ucciso anche lei, schiacciata da un passato che è un continuo presente e dalla solitudine che inesorabilmente condanna i sopravvissuti.

Come sopravvissuta era Graziella Ghisalberti, che riprende il racconto iniziale: «Il 20 ottobre di 80 anni fa in seconda studiavamo le maiuscole e io avevo appena compilato un’intera pagina di lettere D. Alle 11.14 suonò il primo allarme e saremmo dovuti scendere nei rifugi, ma la maestra mi mandò a chiedere istruzioni e siccome mancavano pochi minuti alla fine delle lezioni la segretaria disse alla nostra classe di fare le cartelle e correre a casa». Infatti la Crispi faceva due turni, il primo fino alle 11 e mezza per i bambini delle famiglie più agiate, poi entravano i figli delle famiglie numerose, perché così usufruivano della refezione: morti i primi, salvi i secondi. «Quindi, su indicazione della segretaria noi bambine della seconda anziché scendere siamo tutte uscite – continua Graziella –, ma fuori ci siamo divise: alcune purtroppo sono rientrate, altre sono state salvate da una signora che abitava nella “Corte dei paesani”, a fianco della scuola, io e qualche compagna ci siamo avviate verso viale Monza per andare a casa, ma poi per il terrore degli aerei sono tornata a scuola, decisa a scendere nei rifugi. Sulla porta c’era la maestra dei maschi che mi respinse dicendo che se fosse successo qualcosa sarebbe stata sua responsabilità. In quel momento ho alzato gli occhi e ho visto enormi grappoli neri che cadevano su di noi, allora sono corsa via con la cartella e l’inchiostro in mano». A quel punto l’inferno. Lo spostamento d’aria che la schiaccia a terra davanti a un portone e la custode che la trascina dentro: tutto crolla, boati, polvere, «e io stranamente pensavo solo che se avessi perso la cartella e l’inchiostro mia mamma mi avrebbe sgridata. Tornata la quiete, sono uscita dal cortile perché davanti al portone dove ero caduta erano tutte macerie... una volta fuori mi sembrava un altro mondo, era incomprensibile, la giornata era ancora stupenda, tutto brillava al sole, ma era tutto rotto. In strada incontrai la mamma che era corsa a cercarmi...».

Anche le altre mamme della Crispi la circondarono, nel cuore un’ultima speranza, «hai visto la mia Bice? l’Oscar l’hai visto?». Graziella fu presto mandata in Brianza perché le madri del quartiere non potevano sopportare la sua voce quando chiamava mamma, parola che a Gorla era diventata impronunciabile.

Pure Angioletta era corsa a cercare il suo Edoardo, il cugino di Graziella, gridava e scavava a mani nude. A trovare il piccolo il giorno dopo furono i vigili del fuoco, era ancora tiepido, morto da poco, «la zia se lo portò a casa, si ostinava a farlo rinvenire con l’aceto». Il primo estratto vivo fu invece Giancarlo Novara, 8 anni, terza elementare, mancato nell’estate del 2022 dopo decenni di testimonianze per insegnare ai giovani la pace: «Mi misero nel mucchio dei bambini morti – ci raccontò in un’intervista – fu un sacerdote ad accorgersi che ero ancora vivo, un sasso in gola mi soffocava». Dall’altra parte del naviglio Martesana, dove oggi i cittadini passeggiano assaporando la Milano di altri tempi, nel cortile di una bella casa al numero 5 di via Tofane una lapide riporta i nomi dei 22 bambini che vi abitavano, tutti morti nella scuola.

Dal 1952 in piazza Piccoli Martiri al posto della “Francesco Crispi” un impressionante monumento in bronzo e granito ritrae una madre velata che sulle braccia tese regge il corpo del figlio e un’epigrafe ammonisce, “Ecco la guerra”. Sotto, dove si aprì il cratere, riposano sepolti tutti insieme i 184 piccoli angeli, vegliati da un Cristo addolorato le cui parole sono incise in oro: “E vi avevo detto di amarvi come fratelli”. È in questa piazza che da decenni i sopravvissuti alla strage di Gorla, una delle più dimenticate dalla storia, ogni 20 ottobre celebrano la Messa e rivivono il loro dolore. Noi abbiamo fatto in tempo, tanti anni fa, a incontrare ancora i genitori dei bambini morti, madri impietrite così simili a quel monumento. Oggi resta solo qualche anziano fratello, e cinque o sei di quei bimbi sfuggiti alla bomba assassina, ma inesorabile il tempo ha ammutolito anche loro, «non abbiamo più la forza per andare nelle scuole», sospira Graziella, che ha passato il testimone a suo figlWWio Armando Savoia, custode della memoria in un sito ricco di documentazione storica.

Nell’80esimo anniversario, grazie a Sergio Mattarella, per la prima volta un capo dello Stato italiano ha posto una corona sul sacrario e abbracciato i superstiti. Dagli Stati Uniti mai una parola per quei “danni collaterali”, solo Robert Bloomhuff, un professore di storia americano, il 20 ottobre non manca mai in piazza dei Piccoli Martiri: nessun testo scolastico accenna a nulla, né in Italia né negli Usa – ci spiega –, «allora lo aggiungo io, questo capitolo dimenticato».