60 anni dopo. Crociata: la lezione di Schuman? Leadership con qualità morali
Robert Schuman a Strasburgo nel 1958
«Non c’è futuro per nessuno nell’isolamento e nella chiusura». E «la guerra in corso in Ucraina dovrebbe rappresentare per tutti un monito terribile sulle minacce che si profilano quando ci si divide e ci si chiude». È questo il messaggio che a 60 anni dalla scomparsa (4 settembre 1963) Robert Schuman, padre fondatore dell’Unione europea, ripeterebbe oggi. A farsene portavoce è il presidente della Commissione degli episcopati dell’Ue (Comece), monsignor Mariano Crociata, al quale il Sir ha chiesto, in questa intervista, di tracciare le sfide più urgenti che attraversano l’Europa per capire a che punto è arrivato il sogno europeo dei padri fondatori dell’Unione europea. A Bruxelles, nella Cappella per l’Europa padre Manuel Barrios Prieto, segretario generale della Comece, e padre Krystian Sowa, direttore della Cappella, hanno celebrato una Messa in memoria e in ringraziamento per l’opera e il pensiero di Robert Schuman.
Monsignor Mariano Crociata - Cristian Gennari / Siciliani
Monsignor Crociata, a 60 anni dalla morte di Schuman quale il messaggio che della sua visione politica risuona in modo particolare all’Europa del 2023?
Nella famosa dichiarazione del 9 maggio 1950, Schuman usa un’espressione icastica che produce una certa impressione al sentirla di questi tempi: «L’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra». Sono diversi gli aspetti che risuonano particolarmente attuali del messaggio che viene da questo padre fondatore dell’Europa, ma quello che ho citato riporta alla ispirazione originaria, propria di Schuman, secondo cui solo un rapporto stabile tra le nazioni europee avrebbe scongiurato il ripetersi della guerra.
Si vede che questo messaggio non è stato ancora pienamente recepito, così che la guerra è tornata tra noi.
Ai negoziati si preferisce la via degli armamenti. Ai tavoli del dialogo le minacce. Il Papa a Lisbona ha lanciato un grido molto forte all’Europa: «Verso dove navighi, se non offri percorsi di pace?». In cosa si sta sbagliando?
L’importante discorso del Papa a Lisbona, come pure l’appello che viene dal viaggio in Mongolia di questi giorni, e ancora tutte le iniziative e gli sforzi diplomatici vanno tutti nella direzione di invitare a fermarsi, a riflettere, ad arrestare la guerra e cercare le condizioni di una trattativa. Lei chiede in che cosa stiamo sbagliando. Il primo sbaglio è la stessa guerra; ma poi anche tutte le condizioni e soprattutto le scelte che l’hanno prodotta, con le precise responsabilità di chi ne è stato l’iniziatore. Adesso però è tempo di dare forza e concretezza a uno sforzo diplomatico di tutte le potenze coinvolte nei confronti di chi la guerra la sta facendo e la sta subendo. In questo l’Unione europea è chiamata a un protagonismo che le compete in ragione del carattere europeo dell’occupazione e del conflitto, nonché in ragione della forza politica che dovrebbe rappresentare ed esprimere.
Alle morti sotto le macerie, si aggiungono i morti che fuggono da guerre e povertà. L’Europa è diventata terra murata, terra ad accesso limitato, terra in difesa non della vita umana ma delle sue frontiere. Era questo il sogno di Schuman?
Sempre in riferimento alla dichiarazione di Schuman, colpisce il richiamo all’Africa che egli già allora faceva in vista della creazione di premesse di pace tra le nazioni non solo in Europa; parla infatti espressamente di “sviluppo del continente africano”. Egli stesso ammetteva che il processo di unione – ne parlava propriamente in termini federali – aveva bisogno di gradualità e di tempi lunghi. Viene da chiedersi se i tempi, ormai abbastanza lunghi, di cui abbiamo potuto disporre da allora, siano stati adeguatamente valorizzati. Oggi, gli obiettivi sono molto chiari alla coscienza collettiva europea, come quello del superamento della guerra e della cooperazione internazionale a cominciare dal continente africano. Bisogna trovare il modo di rendere operativi ed efficaci le procedure e i passi necessari per rendere quegli obiettivi concretamente più vicini ed effettivi.
Populismi. I consensi ottenuti da chi alza la voce più forte e parla alla pancia delle persone. Chi era Schuman? Che modello di politico incarna e indica oggi ai politici del 2023?
Il contesto sociale e culturale, oltre che geo-politico, al giorno d’oggi è così profondamente mutato da rendere molto difficile fare dei confronti o applicare esperienze e stili personali e politici di un tempo. Certo è che la figura di Schuman ricorda a chi ha responsabilità pubbliche alcune semplici ma fondamentali cose. Innanzitutto che la tecnica dell’azione politica non può essere mai totalmente dissociata dalla qualità intellettuale e morale personale. C’è bisogno di riflessione, verrebbe da dire di pensiero, per far sì che una presa di parola e una iniziativa legislativa o ancora una decisione politica rispondano davvero alle esigenze del bene duraturo di popoli e nazioni. E poi un politico ha il compito di cogliere ma anche di orientare il consenso. Un leader non deve solo interpretare le attese popolari ma anche indirizzare verso obiettivi davvero comuni e condivisi; e questo, sviluppando argomentazioni, portando ragioni, insomma animando il dibattito politico e quello pubblico in generale, in modo serio, chiaro e competente: questo da sempre è l’anima della politica.
Nel 2024 si terranno le elezioni del Parlamento europeo. Cosa direbbe oggi Schuman ai cittadini dell’Unione europea che stentano a credere oggi in questo progetto?
L’appannarsi dell’ideale europeo, a motivo dei problemi che assillano le nostre società e che inducono, in particolare alcuni Paesi, alla disaffezione nei confronti dell’Unione europea e dei suoi organismi centrali, va contrastato con tutte le forze. Non c’è futuro per nessuno nell’isolamento e nella chiusura. Il messaggio dovrebbe essere dunque che tornando indietro rispetto al cammino fatto si finirà con il perdere i progressi compiuti e con il vedere aumentata la conflittualità e anche la crisi economica. La guerra in corso in Ucraina dovrebbe rappresentare per tutti un monito terribile sulle minacce che si profilano quando ci si divide e ci si chiude. Le elezioni vanno incoraggiate e auspicate come un’occasione irripetibile per confermare il cammino europeo e rafforzare la partecipazione dei cittadini nella conduzione delle istituzioni dell’Unione europea.