Verso Tokyo. 365 giorni per mettere al sicuro i Giochi olimpici
Cinque cerchi e mascherine per le strade di Tokyo
I paradossi continuano. Quattro mesi e mezzo fa a Olimpia si decise comunque di accendere la fiaccola di Tokyo 2020, sebbene tutti i presenti davanti al Tempio di Era fossero già consci che i Giochi non sarebbero stati celebrati in estate. Oggi, quattro mesi dopo la storica decisione di posticipare la rassegna di un anno, all’interno dello Stadio Olimpico della capitale giapponese con una sobria cerimonia sarà avviato il conto alla rovescia verso una manifestazione al momento in bilico, nonostante le continue rassicurazioni. La settimana scorsa il Comitato organizzatore ha confermato il programma spalmato su due settimane e tre weekend (dal 23 luglio all’8 agosto 2021) spegnendo sul nascere le ipotesi di Giochi accorciati e compatti. Nello stesso tempo il numero uno del Comitato olimpico internazionale (Cio), il tedesco Thomas Bach, ha ribadito che Tokyo 2021 sarà aperta al pubblico, smentendo quindi l’opzione di gare a porte chiuse.
Inutile girarci attorno però: o la pandemia sarà completamente cessata, o quanto meno sotto controllo con l’arrivo del vaccino, oppure sarà impossibile realizzare i Giochi come erano stati pensati. Non è quindi in discussione se i Giochi ci saranno – anche su questo aspetto Bach è stato chiaro: «Avremmo potuto annullarli, ma abbiamo scelto la sfida completamente nuova del rinvio» – ma come si svolgerà l’evento. I giapponesi si sono accollati i costi aggiuntivi dello slittamento (almeno 2,5 miliardi di euro da aggiungere alla dozzina già stanziati), ma adesso stanno riflettendo su come mettere in sicurezza impianti, alloggi e vie di comunicazione. Tutto ruota intorno alla presenza di pubblico e addetti ai lavori. Se nel primo caso si potrebbe intraprendere la strada della capienza ridotta delle strutture, con ovvie conseguenze sui ricavi (vanno rimborsati i biglietti) e sull’indotto (si riducono le presenze in città), nel secondo occorrerà capire come trattare giornalisti, sponsor, invitati, vip e addetti alle competizioni. Tutte persone coinvolte nell’evento, ma che non vivono dentro il Villaggio.
Già, il luogo per antonomasia dei Giochi, resta la questione più spinosa. I contratti firmati con i privati, futuri proprietari delle palazzine, sono da ridiscutere, mentre non si sa se dentro l’ambiente sarà creata una bolla in cui far circolare gli atleti – sullo stile dell’esperienza della Nba a Orlando – oppure se le porte rimarranno aperte. Insomma gli interrogativi sono ancora tanti e ai dubbi si aggiungono i risultati di alcuni sondaggi: il 77% dei nipponici ritiene che i Giochi non andranno in scena nel 2021; il 51% dei residenti nella capitale vedrebbe di buon occhio o la cancellazione definitiva o un ulteriore slittamento. Quest’ultimo non rientra nelle possibilità contemplate: a Tokyo o si va nel 2021 o non ci si va più. A livello agonistico i meccanismi di qualificazione sono stati congelati: i pass già assegnati rimangono validi, i rimanenti verranno messi in gioco nella prima parte del 2021. Per ora gli italiani qualificati sono 208, ma il Coni punta a portarne almeno un centinaio in più. Per superare i 314 di Rio occorrerà qualificare altre squadre oltre alla pallavolo maschile e femminile, alla pallanuoto maschile e al softball. Ancora incertezza sul portabandiera azzurro, sulla cui scelta potrebbe influire anche quanto verrà stabilito per il Villaggio. Tra le ipotesi vi è infatti la doppia onda: ossia dividere in due gruppi gli atleti, scaglionando in modo rigido arrivi e partenze.