Nell’estate del 1956, Aldo Moro, ministro della Giustizia del governo Segni, ricevette dai vertici della magistratura di Venezia il memoriale di un agente segreto alleato, contenente rivelazioni a dir poco esplosive sull’epilogo di Mussolini e sulla sorte dei suoi documenti. Lo statista democristiano poi ucciso dalla Brigate Rosse lesse la narrazione dello 007, quindi restituì il memoriale al diretto interessato, non senza aver trattenuto per gli archivi segreti dello Stato materiale ultrasensibile che non era lecito lasciare in giro: cinque allegati al memoriale stesso, di cui uno in inglese in quanto presumibilmente desunto dal carteggio disperso del Duce. L’agente segreto in questione era un caporete dell’intelligence militare americana, che negli ultimi mesi della guerra era stato operativo, sotto mentite spoglie, nella centrale del Sicherheitsdienst di Verona, gli apparati di sicurezza e informazione del partito-Stato nazionalsocialista. Si trattava di Angelo Zanessi, alias capitano Zehnder o Ennio Belli, il quale fu preposto alle operazioni volte al recupero dei carteggi esteri di Mussolini, ai quali gli Alleati annettevano importanza strategica.Zanessi è una figura alquanto misteriosa e di lui si conosce pochissimo. Trentenne, bello, colto e poliglotta, nato in Calabria a quanto sembra da padre belga, trascorse l’adolescenza tra il Belgio e la Francia e prima della guerra fu pilota di auto da corsa. Fino all’8 settembre 1943, fu agente del Sim, il servizio segreto militare italiano, dopodiché passò a lavorare per gli angloamericani, sotto la copertura di uomo dell’intelligence nazista nella Penisola. Zanessi certamente venne a conoscenza di molti segreti riguardanti i pensieri intimi di Mussolini, negli ultimi mesi della sua avventura umana e politica. Già nel febbraio del 1945, l’ufficiale doppiogiochista informò "in cifra" la sezione dell’Oss di Lugano, il servizio di spionaggio statunitense, che il questore addetto alla persona del Duce, il colonnello Emilio Bigazzi Capanni, aveva consegnato al dittatore documenti sequestrati a Villa Fiordaliso, la residenza di Claretta Petacci sul lago di Garda. Quel recupero era avvenuto alcuni mesi prima, ma è rivelatrice la circostanza che gli americani ne venissero informati attraverso la rete di intelligence militare. Zanessi-Zehnder, del resto, poteva avvalersi delle informazioni di alcuni abili collaboratori che si erano infiltrati nel servizio di protezione tedesco del Duce. Uno di questi era "Cirus", che la notte tra il 25 e il 26 aprile del 1945, giunse sulle rive del lago di Como, insieme allo stesso Zanessi e un altro agente di nazionalità slava, per la missione preparata da mesi: il trafugamento delle carte mussoliniane. Nel suo memoriale, di cui sono stati pubblicati alcuni stralci negli anni Cinquanta, così la "primula rossa" descrive la Petacci, in nervosa attesa del suo amante, nel cortile della Prefettura di Como trasformatasi in un bivacco notturno di alti gerarchi ormai alla deriva: «[Claretta] fuma in continuazione, cambiando sigaretta dopo qualche boccata. Ha con sé la borsa che sappiamo contenere qualche cosa di interessante, che ha portato da Gardone e che doveva essere trasferita in Svizzera».Zanessi e i suoi attendono che la Favorita si assopisca, sui sedili della sua automobile, per sfilargli dalla borsa gli importanti documenti che Mussolini le aveva affidato. Il giorno seguente, il capitano Zehnder, riesce a infiltrarsi nella colonna di automezzi tedeschi alla quale si uniscono il Duce e i gerarchi. Una volta giunto a Dongo, dove il dittatore viene arrestato dai partigiani garibaldini, Angelo Zanessi getta alle ortiche la sua divisa germanica e si fa riconoscere come agente segreto americano. Inizia a quel punto un lungo negoziato con i partigiani per potersi impadronire del maggior numero possibile di carteggi. Una trattativa che proseguirà a Como, dove lo 007 alleato riesce a mettere le mani su una borsa nera del Duce gonfia di documenti.A Dongo, Zanessi sequestra il contenuto della borsa giallo-marrone che il capo del fascismo stringeva in mano al momento della sua cattura. Il resoconto che la spia americana fornisce, a proposito della natura di questo piccolo archivio viaggiante, è di enorme interesse, perché, a differenza di altre descrizioni sommarie fornite dalle fonti partigiane, è accurato e particolareggiato. Si apprende innanzitutto che Mussolini aveva "legato" i documenti a una esposizione scritta autografa, un vero e proprio memoriale autodifensivo, di cui i materiali archivistici non erano che "allegati" esplicativi. In sostanza, il dittatore sconfitto rafforzava la sua narrazione, a discolpa delle sue responsabilità di fronte alla storia, con inserti documentari "in originale".Ma lasciamo la parola allo stesso Zanessi: «Nel memoriale, finito di scrivere il 6 marzo 1945, Mussolini indicava come dovevano essere divisi i suoi documenti in caso di morte. Un gruppo, quello concernente le responsabilità interne per l’intervento dell’Italia in guerra, non avrebbe dovuto cadere nelle mani dei vincitori angloamericani o dei tedeschi perdenti e non doveva essere comunque divulgato prima di dieci anni dalla fine del conflitto. Questo perché i documenti in questione avrebbero potuto compromettere irrimediabilmente la monarchia, Badoglio e personalità che pur seguendo il governo del Sud erano rimaste in contatto con la Repubblica Sociale. Se tali documenti fossero stati resi di pubblica ragione dopo la vittoria "alleata", avrebbero compromesso la posizione dell’Italia rappresentata dal governo antifascista al tavolo della pace. "Per il bene dell’Italia – annota Mussolini – so mettere da parte ogni rancore e, purché l’Italia sia salva, mi adatto ad una difesa postuma, non per me ma per coloro che mi hanno seguito fino in fondo"».I dossier internazionali erano il "piatto forte" di questo arsenale documentario, e Zanessi ce ne fornisce una rassegna dettagliata: tra gli altri, vi erano lettere di Churchill e di Chamberlain, un imponente fascicolo su Casa Savoia contenente missive tanto di Vittorio Emanuele III quanto del principe Umberto, un incartamento sul Vaticano, i carteggi con Hitler, re Boris di Bulgaria, il leader cetnico Mihailovic e il cancelliere austriaco Dollfuss, cartelle sui "traditori", sul "caso Canaris" e sui diari di Ciano. Aggiunge Zanessi: «Molto voluminoso e di eccezionale importanza il materiale concernente le responsabilità internazionali sullo scoppio della guerra, comprendente documenti ufficiali e altri inediti. Altro settore fondamentale è quello riguardante i tentativi fatti fino alla fine da Mussolini per una soluzione, almeno parziale, in senso politico della guerra». Si giunge a questo punto al nocciolo della questione. L’agente dei servizi segreti statunitensi, oltre a confermare l’esistenza del carteggio intercorso tra il Duce e Churchill, svela anche un retroscena di grande rilevanza storica, legato all’utilizzo politico che venne fatto di quella documentazione. Poiché lo statista britannico ambiva a recuperare la compromettente corrispondenza, venne intavolata una trattativa per la cessione delle carte. Zanessi, per anni, rimase il custode dei segreti di questa preda bellica del tutto eccezionale. Nel luglio del 1945, la spia alleata ricevette da Washington l’ordine di occultare il materiale, perché si temeva che l’Intelligence Service inglese, il quale stava dando una caccia forsennata ai contenuti delle borse del Duce, intervenisse con un blitz per reclamarne la consegna. Sarebbe stata una circostanza imbarazzante: a tale richiesta, infatti, ben difficilmente gli americani avrebbero potuto opporre un diniego, senza avvelenare i rapporti con i loro alleati. Così, Zanessi provvide a sotterrare gli involti a Sedilis, una località del comune di Tarcento, in Friuli. E lì sarebbero rimasti per quattro anni, fino al 1949.