mercoledì 22 luglio 2020
L’esordio discografico del pianista e compositore è un viaggio alle origini, nella tradizione dei canti popolari dell’isola. Note accompagnate dalle foto di Zri Conti: il valore della memoria
 “Il Cristo nero”, per l'album "Zolfo" di Vincenzo Parisi

 “Il Cristo nero”, per l'album "Zolfo" di Vincenzo Parisi - Zri Mario Conti

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Un pianoforte per viaggiare nella Sicilia più vera e autentica, quella che secondo Goethe è «la chiave di tutto». Note che attraversano l’isola della luce, ma anche delle ombre. Del sole e della notte. Del mare e delle miniere. Delle fedi e dei mercati.

Il pianista e compositore Vincenzo Parisi, cresciuto in Liguria ma nato nel 1984 in provincia di Palermo, parte dalle sue origini per esordire con un disco da solista, Zolfo: otto composizioni inedite per pianoforte liberamente ispirate agli antichi canti popolari siciliani. Un repertorio con forti echi arabi, persiani, greci e sefarditi, che Parisi riscrive, e interpreta, in chiave contemporanea per restituire quello che per lui rappresenta la Sicilia e la sua storia.

«Ho un rapporto viscerale con la Sicilia. Mi sono sempre sentito un siciliano che vive in Liguria e ama la Liguria. Sento che il sangue è quello. Dai 18 anni ho cominciato a cercare delle musiche che ricordassero le sonorità siciliane, con spirito nostalgico – ricorda il compositore che dopo il diploma in conservatorio a La Spezia, mentre si laureava alla Bocconi in Economia per Arti Cultura e Comunicazione, si è perfezionato al “Verdi” di Milano, dove continua a studiare –. Quando mi sono avvicinato alla composizione, il maestro Fabio Vacchi mi ha spinto a cercare le cose più autentiche per scrivere l’unicumche ciascuno di noi ha dentro. Così mi sono immerso nell’antica tradizione dei canti popolari sopravvissuta nelle trascrizioni e nelle registrazioni di vari etnomusicologi, soprattutto di Alberto Favara, che è stato fonte per tanti, a partire da Rosa Balistreri, ma anche di Alan Lomax e Diego Carpitella, attivi nella Sicilia contadina degli anni Cinquanta, quando l’isola era la più grande miniera di zolfo del mondo. Un lavoro rielaborato nel corso degli anni. Per il mio primo disco ho pensato fosse giusto e naturale partire da qui. Dal primo percorso di ricerca. Dalle origini. Dallo Zolfo».

Il pianista e compositore Vincenzo Parisi

Il pianista e compositore Vincenzo Parisi - Ufficio stampa

Un concept album – prodotto da Piano B Agency, mixato da Francesco Vitaliti (Indigo, Palermo), masterizzato da Arnold Kasar (Calyx, Berlino) e distribuito da Pirames international – che na- sce live proprio nel luogo d’ispirazione: il 7 ottobre 2018 per Piano City Palermo, in una piazza del popolare quartiere di Ballarò, all’aperto, davanti all’imponente murales di Igor Scalisi Palminteri che raffigura San Benedetto il Moro con le scarpe da calcio. «Volevo che la musica si contaminasse con i rumori della città – continua Parisi, che nel suo percorso sperimenta dal classico al folk, dal pop al rock (ha fondato la rockband Kafka On The Shore) –. Il suono “sporco” di un live è molto coerente con l’immagine della Sicilia che voglio comunicare: non quella edulcorata di un’isola solare e florida, bensì quella di una terra reale e aspra, con le sue criticità, ma non per questo meno intrigante. Si sentono gli applausi, le moto che passano a fianco, l’urlo di un bambino».

Un suono sporco ma vero. Come il viaggio fra sonorità più melodiche e altre più dure e crude. Come l’Isola. Un percorso che parte da Caltanissetta con la processione del Cristo Nerodella Settimana Santa che guarda verso l’alto, la religiosità popolare, lo spirito e attraversa la Sicilia, passando per la cadenza dei fondachi della Kalsa di Palermo ( Furnarisca), i canti dei pescatori delle tonnare trapanesi e le preghiere delle donne che attendono il ritorno dei propri uomini dal mare ( Canti del mare), una Ninna Nannadi Barrafranca, i sospiri di un carcerato che pensa alla sua amata ( Mi votu e mi rivotu), l’arte araba delle Muqarnas e la fede bizantina delle comunità greco–ortodosse di Piana degli albanesi e Mezzojuso ( Kyrie ekekraxa), per ritornare a Caltanissetta, sottoterra, nel dramma dei minatori delle cave di Sommatino ( Surfarara) che cantano: «Mi scordo, mi scordai, scordato sono. Mi scordo della stessa vita mia...». Ecco Zolfo. «La storia della Sicilia sfruttata per ricavare il minerale e portarlo in tutto il mondo, poi abbandonata quando non serviva più. Uno dei primi ricordi di mio nonno Cocò, contadino, è proprio quando gli chiesi cosa fosse quel “cumulo di polvere”. E lui mi rispose: “È lo zolfo!”».

Surfarara

Surfarara - Zri Mario Conti

Musica, memoria, viaggio. E immagini. Quelle che scorrono in mente, mentre le note si susseguono. Ma anche quelle che accompagnano l’album in una felice e sorprendente unione artistica di Parisi con il fotografo di Villafrati, sempre in provincia di Palermo, Zri Mario Conti: otto scatti in bianco e nero, un racconto per immagini dell’isola che viene raccontata nei brani di Zolfo. Una foto per ogni brano. Scatti di una intensità rara, che raccontano in maniera esemplare il viaggio musicale di Parisi. Anche questi senza parole. Perché quando l’armonia è perfetta, di suoni e visioni, non servono. La copertina è una strada franata. Che non è una fine, ma un inizio. Perché è come se quelle crepe aprissero altre infinite strade, altri percorsi, altre vie possibili, altri andare. E così è.

«Zri–Zrat è un villaggio berbero sulle montagne del Marocco. Un luogo che ho conosciuto incontrando il musicista Nour–Eddine al Cous Cous Fest di San Vito Lo Capo. Abbiamo parlato per ore. Mi ha affascinato. Quel suono, quel villaggio ho pensato potessero rappresentare lo spirito e il suono della mia fotografia. Così Zri è diventato il mio nome», dice Zri Mario Conti, artista eclettico che comincia con la pittura, affascinato da Francesco Carbone e Giusto Sucato, prima di farsi travolgere dai tempi, dalle attese, dalle emozioni della macchina fotografica. «Fotografo le cose semplici e vere. I posti che rischiano di scomparire, quelli che sono fuori dagli itinerari più battuti. La Sicilia scordata. Quella che in questo mondo che corre a mille, ci ricorda il valore della terra. Delle pietre. Qui dove un solo sassolino può raccontare un’immensità ». Zri Conti ama le pietre vive e la musica e da sempre ha fotografato concerti. La musica lo ha fatto incontrare con Parisi. E ora le note risuonano con i suoi scatti. In un album da ascoltare e da guardare. Fino all’ultima nota, fino all’ultimo granello di zolfo.

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