Arrivano secondi, dopo i celebrati Bolt e Phelps, dopo i Giochi in mondovisione. Ma non sono secondi a nessuno, tutt’altro. Da ieri sera, e fino al 9 settembre, Londra ospita la 14ª edizione delle Paralimpiadi, i Giochi degli atleti portatori di disabilità. In realtà sir Philip Craven, capo del Comitato paralimpico internazionale, ha bandito la parola “disabile”: ai Giochi ci sono atleti, c’è lo sport. Una dichiarazione che Craven ha deciso di fare perché ha ritenuto i tempi maturi per un’ulteriore crescita culturale che va verso l’inclusione, l’integrazione di chi non è diverso solo perché non ha una gamba o non ci vede.Gli stessi numeri dicono che non sono Giochi di serie B. Oltre 2 milioni i biglietti venduti, una copertura mediatica assicurata da 6 mila giornalisti, con una stima di 4 miliardi di spettatori che assisteranno alle gare. I 4.280 atleti si contenderanno le 503 medaglie in 20 discipline, dall’atletica leggera al nuoto e alla pallacanestro, dal tiro con l’arco alla scherma e al rugby e, per la prima volta, anche alla pallavolo. Diverse le disabilità dei partecipanti: ci sono para e tetraplegici, persone con cerebrolesioni, ciechi. Londra segna il ritorno degli atleti con disabilità relazionali e intellettive con nuove classificazioni per evitare quanto accadde nel 2000 a Sydney. Il reporter spagnolo Carlos Ribagorda normodotato, infatti, dimostrò qualche carenza organizzativa, giocando nella squadra di basket paralimpico categoria disabilità intellettiva e relazionale.A Londra lo sport paralimpico si è riunito. Un evento che poteva accadere soltanto nella patria del movimento. A Stoke Mandeville nel 1948 il medico neurologo Ludwing Guttmann, capo dell’unità spinale dove venivano ricoverati i reduci dal fronte di guerra, si rese conto che quei ragazzi erano tornati mutilati non solo nel corpo: la depressione portava infatti molti di loro a togliersi la vita. Il dottor Guttmann riuscì a convincere un gruppo di suoi pazienti a fare esercizi fisici compatibilmente alle loro condizioni di salute. Alcuni in carrozzina provarono il tiro con l’arco, che tra l’altro si disputa insieme ai normodotati. In questo modo l’esperienza agiva anche sulla consapevolezza che, nonostante la disabilità, non erano esclusi dalla società. Il gruppo di atleti del dottor Guttmann crebbe, tanto che il 28 luglio 1948 ci fu la prima gara, i giochi di Stoke Mandeville.Ma non fu la prima Paralimpiade – per la precisione, il nome sarà assegnato solo nel 1984, con il riconoscimento ufficiale a livello internazionale dell’esistenza di Giochi paralimpici – quella è italiana. A organizzarla fu il medico Antonio Maglio, direttore dell’unità spinale del centro paraplegici di Marina di Ostia. Seguace del metodo Guttmann, Maglio a Roma nel 1960 radunò sportivi provenienti da diverse nazioni. Da allora si sono svolte 14 edizioni dei Giochi estivi e 11 di quelli invernali, dove le discipline sono sci, hockey e curling.Le Paralimpiadi hanno sempre maggior successo fra il pubblico, interessato ai risultati sportivi a record e a medaglie. Ma anche le storie. Come quella dell’italiana Assunta Legnante, campionessa normodotata di lancio del disco e del peso, diventata cieca nel 2009 per l’aggravarsi del glaucoma congenito. Con lo sport nel suo Dna, non è riuscita a star lontana dalle piste di atletica e si è qualificata per la sua prima Paralimpiade: «Sono quella di sempre. E le Paralimpiadi sono sempre i Giochi, con la G maiuscola». O come Martine Wright, inglese, che perse entrambe le gambe nell’attentato terroristico alla metropolitana di Londra nel 2005. Oggi rappresenta il suo Paese nella pallavolo da seduti. Sua compagna di squadra è Samantha Bowen, 26 anni, militare della Royal Artillery, paralizzata dallo scoppio di una granata in Iraq nel 2006. O ancora Mohammad Fahim, unico atleta a rappresentare l’Afghanistan. Ha una gamba sola per essere saltato su una mina e punta a una medaglia nel sollevamento pesi.Ritroveremo anche Oscar Pistorius, 26 anni, sudafricano, che il grande pubblico ha visto gareggiare qualche settimana fa insieme ai normodotati. A Pistorius va il merito di aver contribuito ad accendere, da abile comunicatore, i riflettori sullo sport paralimpico. Pistorius, però, non è il solo atleta disabile a gareggiare con i normodotati. Prima di lui l’impresa è riuscita alla neozelandese Neroli Fairhall e all’italiana Paola Fantato, nel tiro con l’arco nel 1996 ad Atlanta, e all’ipovedente Marla Runyan che disputò la finale dei 1.500 metri a Sydney nel 2000. Seguirono poi, nel 2008 a Pechino, la polacca Natalia Partyka nel tennis tavolo e nel nuoto la sudafricana Natalie Du Toit, presente anche a questi Giochi. Un centinaio sono gli azzurri (97 atleti e 7 fra guide e un timoniere del canottaggio). «I nostri punti di forza sono ciclismo, atletica e nuoto – spiega Luca Pancalli, presidente del Comitato italiano paralimpico – e attendiamo conferme da scherma e tennistavolo. C’è poi la soddisfazione di avere il basket in carrozzina, che da Atene era assente». Tra i nostri anche la cantante non vedente Annalisa Minetti, vincitrice di Sanremo nel 1998, che gareggia nei 1.500 metri di cui detiene il record mondiale. Entusiasmo ed energia, offuscati dall’amarezza – così l’ha definita proprio Luca Pancalli – per via dell’esclusione del ciclista Fabrizio Macchi, deferito dalla Procura antidoping del Coni per essersi avvalso della consulenza di Michele Ferrari, il medico inibito dal Coni. Il celebre fisico britannico Stephen Hawking (da anni paralizzato), ieri sera ha raccontato la Cerimonia d’Apertura all’Olimpico di Londra con la sua caratteristica voce computerizzata. Lord Sebastian Coe, il presidente del comitato organizzatore delle Olimpiadi, ha definito lo spettacolo «uno stimolo a pensare».